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Unicredit-Libia, agitazione italiana alla ribalta

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 16:03.

Non sfugge ai media economici esteri l'agitazione suscitata in Italia dall'ulteriore ascesa dei libici in UniCredit. Il fondo sovrano Libyan Investment Authority ora detiene oltre il 2,5% del gruppo italiano, rispetto al 2% di luglio. Insieme al 4,9% detenuto dalla Banca centrale libica, la Libia è di gran lunga il maggiore azionista di UniCredit.

Il Financial Times sottolinea che il caso Libia potrebbe «aumentare la pressione politica» sull'ad Alessandro Profumo, che è riuscito «di stretta misura» a mantenere il suo posto lavoro durante la crisi finanziaria e che da allora «combatte le critiche degli azionisti italiani scontenti per l'impatto sul fatturato dell'espansione della banca al di fuori dell'Italia, nelle aree più rischiose dell'Europa dell'Est».

Il quotidiano britannico ricorda che già prima d'ora la Libia è stata un importante azionista in Italia. Per un decennio, fino al 1986, ha avuto il 14% di Fiat. E oggi le sue partecipazioni italiane vanno dalla Juventus a un accordo con Mediobanca per istituire una joint venture per aiutare le compagnie italiane in difficoltà. «Ha anche mostrato interesse a investire nelle entità parzialmente statali Enel, Eni e Telecom Italia».

Anche se – continua il Ft - i banchieri coinvolti negli accordi passati dicono che gli investimenti libici in Italia sono sempre stati «tradizionalmente stabili», il dibattito sulla proprietà libica delle aziende italiane è diventato «politicamente carico» nell'ultimo anno, in seguito alla maggiore cordialità delle relazioni diplomatiche con Gheddafi voluta da Silvio Berlusconi.

La Lega Nord è «particolarmente agitata» sottolinea Il Ft, citando il parlamentare Maurizio Fugatti che ha chiesto di mantenere le "radici" italiane di UniCredit. Il Ft parla di «furore», in parte dovuto alla mancanza di chiarezza sul fatto se considerare la Lia e la Banca centrale libica come un singolo azionista, cosa che restringerebbe i loro diritti di voto al 5 per cento.

A Milano ci si preoccupa del possibile dominio del regime del colonnello Gheddafi sul primo istituto finanziario italiano, scrive Les Echos. Il presidente di UniCredit, Dieter Rampl, dovrà riferire entro il 30 settembre le sue conclusioni sulle vere intenzioni dei libici. Interrogata dalla Consob, la Lia ha assicurato la scorsa settimana, per iscritto, la sua «perfetta indipendenza» rispetto alla Banca centrale libica. Il fondo sovrano scrive di agire da investitore accorto, preoccupandosi unicamente della «redditività».

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Il quotidiano francese fa notare che nel frattempo la fondazione Cariverona ha annunciato di avere venduto lo 0,25% di Unicredit riportando la sua posizione al 4,6% del capitale. Un caso del calendario? si domanda il quotidiano francese. L'operazione è «puramente finanziaria», secondo quanto ha detto la fondazione bancaria, «il più grande azionista italiano di Unicredit».

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