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Finanza e Mercati In primo piano

Profumo-UniCredit «una storia d'amore tormentosa» e quegli «investitori poco entusiasti»

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2010 alle ore 10:11.

Nervosismo per la Libia, ma soprattutto lotta di potere. Le dimissioni di Alessandro Profumo da UniCredit sono già da ieri sera sulla copertina del sito internet di Financial Times e del Wall Street Journal, la stampa internazionale fa le prime analisi. Anche se la notizia non è nelle prime pagine dei due quotidiani finanziari, ma nelle prime pagine delle sezioni interne dedicate alla finanza e ai mercati. «Il capo di UniCredit se ne va dopo 15 anni», «La lotta di potere con i membri del board scatena le dimissioni di Profumo», titola il Financial Times, notando che la sua partenza lascia UniCredit «senza un ovvio successore».

Il suo ruolo sarà assunto a interim dal presidente Dieter Rampl, finché non sarà trovato un successore, che «potrebbe essere nominato prima di Natale». Profumo, osserva il quotidiano britannico «è stato a lungo considerato uno dei più influenti banchieri d'Italia», rispettato in centri finanziari internazionali come Londra per avere costruito un «campione europeo» con asset di mille miliardi di euro da un gruppo di banche regionali italiane.

Il cambio di management «certo non aiuta il business operativo di una banca già indebolita da un difficile ciclo economico», dice al Ft Fabrizio Berardi, analista di Evo Securities. Il Ceo se va in una «tempesta di critiche» in Italia, provenienti soprattutto dalla Lega Nord, «partito di destra e anti-immigrazione», a causa della presa di partecipazione della Libia del 7,5% in Unicredit.

L'uscita di Profumo – continua il Ft - è il «culmine di una feroce campagna» che un alleato ha paragonato a una «caccia coi cani» (o "caccia bestiale", secondo una precedente versione). «Il furore politico sulla Libia maschera difficoltà più profonde nelle sue relazioni con il board», osserva ancora il Ft. «che lo ha danneggiato fatalmente», secondo i suoi alleati, è stato il suo «ostinato rifiuto di piegarsi alle disparate culture e interessi locali all'interno di UniCredit».

All'UniCredit il Financial Times dedica anche un commento della rubrica Lex. E' finita una «tempestosa storia d'amore», scrive Lex, gli investitori ne hanno avuto abbastanza di quella che considerano come «arroganza e inaffidabilità»" dell'amministratore delegato. Non è che le «anacronistiche fondazioni» abbiano mai stravisto per lui. Ma Profumo «si è fatto troppi nemici».

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Tags Correlati: Alessandro Profumo | Allianz Subalpina | Anna Maria Benassi | Associated Press | Bbc | Bocconi | Cesare Geronzi | Emilio Botin | Fabrizio Berardi | Generali | Inter | Italia del Nord | Libia | Matteo Arpe | Partecipazioni societarie | Pioneer | Silvio Berlusconi

 

All'inizio gli investitori erano entusiasti, continua Lex. Il banchiere seguiva il suo script: «crescere, razionalizzare, innovare». E il prezzo del titolo è sestuplicato tra l'inizio del 1997 e metà del 1998. UniCredit è diventato un "brand nazionale" e ha guidato il processo di consolidamento, culminato nell'acquisizione di Capitalia. Ma quell'acquisizione ha indebolito i "capital ratio" di UniCredit, costringendola a un aumento di capitale di 4 miliardi di euro.
La sua politica estera era più o meno la stessa, ma – secondo Lex - il suo tocco era meno sicuro di quello, ad esempio, di Emilio Botin di Santander. Il Ft nota che Profumo ha deciso di acquistare la tedesca Hbv quando nessun altro voleva averci a che fare, suscitando preoccupazioni per la sua forte esposizione nell'Europa dell'Est. Lo sforzo segreto per ottenere sostegno dagli investitori libici è stato «l'ultima goccia». L'eredità di Profumo, conclude Lex, avrebbe potuto essere la trasformazione del sistema bancario italiano, invece sarà quella che «non è riuscito a costruire un edificio più duraturo».

Il Wall Street Journal titola «Il capo di UniCredit se ne va nel mezzo di una faida» e nel sommario sulla homepage del sito web ricorda che Profumo ha fatto di UniCredit un «gigante finanziario globale». Si dimette in lite con il board e in una situazione di «crescente nervosismo per il coinvolgimento della Libia nella finanza italiana».
La faida tra Profumo e i principali azionisti di UniCredit – scrive il Wsj - andava avanti da anni per il dissenso sulla strategia internazionale della banca e la crescente necessità di aumentare il capitale. Ma la partenza di Profumo è stata innescata dalle crescenti critiche in Italia per il suo «corteggiamento di denaro libico per la banca». La partecipazione libica in UniCredit ha permesso alla dittatura nordafricana di «entrare nelle stanze della finanza italiana e ha allarmato i politici, le autorità di vigilanza e gli azionisti italiani».

La disputa sulla partecipazione della Libia è stata «la goccia che ha fatto traboccare il vaso», dice al Wsj Marco Giorgino, professore di finanza al Politecnico di Milano. La difesa dell'investimento libico da parte di Profumo, continua il quotidiano americano, «è emblematica di uno stile manageriale spavaldo che gli ha consentito di trasformare Unicredit da banca locale in una delle più grandi banche del mondo».

Il Wsj ricapitola come le tensioni si sono aggravate fino a quando, lo scorso week-end, «Rampl ha telefonato a Profumo per dirgli che non aveva più il sostegno degli azionisti di Unicredit», aprendo la strada alla lettera di dimissioni di Profumo. Trovare un successore potrebbe «essere dura», secondo gli analisti. Il Wsj cita Stefano Caselli, professore di banca e finanza alla Bocconi di Milano: «Profumo ha lasciato il segno sullo sviluppo internazionale della banca e ha creato una banca globale. È difficile trovare un successore».
Sempre sul Wsj, un commento di "Heard on the Street" intitolato «Il sanguinoso duello nella sala del Cda di Unicredit» afferma che alla fine è la sua relazione con il presidente Dieter Rampl che ha fatto capitolare Profumo. Non lo ha informato il presidente dell'ultimo investimento libico e «non sarebbe la prima volta che ha taciuto informazioni al board», secondo fonti informate della situazione.

Si è dimesso «richiesta del board»", titola il New York Times.
«Gran parte dei problemi tra Profumo e gli azionisti», spiega al Nyt Manfred Jakob, analista Seb a Francoforte, «appaiono legati ai forti aumenti di capitale e all'assenza di dividendi sulle azioni ordinarie nel 2008 e ai bassi dividendi nel 2009». Secondo gli analisti, le fondazioni erano insofferente con lo stile di management "centralizzato" di Profumo. «Fonte di preoccupazione» erano anche gli ultimi sviluppi tra cui l'aumento della quota libica e la profonda riforma del ramo consumer banking. Il Nyt ricorda che, nell'ambito dei recenti aumenti di capitale, Mediobanca, la banca d'investimento nella quale «il primo ministro Silvio Berlusconi detiene un'ampia quota», ha preso una significativa quota senza diritto di voto in UniCredit.

Profumo è stato messo "spalle al muro" e spinto alle dimissioni sotto la pressione degli azionisti storici di UniCredit, titola il quotidiano francese Les Echos. Una cosa è certa, scrive Les Echos: negli ultimi due anni Profumo «si è messo contro molta gente». Le fondazioni bancarie del settentrione, che l'accusano di distribuire dividendi sempre più magri. La Lega Nord, che gli rimprovera l'espansione internazionale a tappe forzate, a detrimento del sostegno alle famiglie e alle Pmi. L'entourage di Berlusconi «che non ha mai digerito la sua partecipazione pubblica alle primarie del 2008 per la designazione del candidato di sinistra alle legislative». E infine Cesare Geronzi, «che ce l'ha con lui per averlo allontanato dal gruppo al momento della fusione con Capitalia, banca che lui presiedeva, e che lo sospetta di avere cercato di bloccare la sua nomina alla testa delle Generali, lo scorso aprile». «Dal pinnacolo alla gogna, storia di un banchiere atipico in Italia» è un altro titolo di Les Echos, che ricostruisce la carriera di Profumo, prima osannato come "Alessandro Il Grande" e poi diventato per molti "Mister Arroganza".

Il "patron di Unicredit è stato "costretto alle dimissioni", titola Le Figaro sulla homepage del suo sito. Gli azionisti rimproverano a Profumo la sua "troppo grande autonomia". Il quotidiano francese cita alcuni dei nomi che circolano per la sua successione: Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, Enrico Cucchiani, Allianz Italia, Matteo Arpe, ex ad di Capitalia.

Lo spagnolo Abc mette la notizia alla ribalta della homepage con un taglio libico: "Gheddafi provoca convulsioni nella prima banca italiana". L'amministratore delegato – si legge - costretto a rinunciare per avere permesso alla Libia di alzare la sua partecipazione al 7,58%". Secondo i media italiani, continua Abc - la questione Libia è stata "una scusa per mandare a casa Profumo". Di fatto, Unicredit negli ultimi anni ha chiesto agli azionisti "quasi 10.000 milioni", cosa che, in piena crisi finanziaria, "non è piaciuta alla maggioranza". E ieri circolava il commento che "Profumo si è danneggiato da solo".

El Pais osserva che Dieter Rampl è anche vicepresidente di Mediobanca, che detiene il 5,1% delle azioni e nel cui consiglio siede Marina Berlusconi, figlia del premier italiano.
"Il mercato castiga Unicredit dopo la cessazione di Profumo", titola lo spagnolo Expansion.

Su molti siti Usa – dal Washington Post al San Francisco Chronicle - si susseguono i lanci delle agenzie americane. L'Ap scrive che Profumo è stato costretto a dimettersi dopo avere perso il sostegno di un azionista chiave in quella che, secondo gli analisti, "è diventata una battaglia politica per il controllo della banca".

La partenza di Profumo crea "un buco nella leadership e incertezza strategica, con il rischio di una maggiore influenza politica nelle decisioni di business", afferma Anna Maria Benassi, analista di Banca Leonardo, in una nota cui fa riferimento l'agenzia Bloomberg.
Chiunque succeda a Profumo – scrive ancora Bloomberg – dovrà affrontare la sfida di equilibrare i bisogni degli investitori locali e internazionali. Il nuovo manager dovrà anche decidere il futuro di Pioneer, di cui Profumo aveva cominciato a esaminare le varie opzioni, tra cui la possibile vendita.

Il caso Unicredit trova spazio anche sui media britannici non economici. "Il capo di Unicredit si dimette per litigio libico", titola il Guardian, che definisce Profumo come una delle figure più intraprendenti nel mondo conservatore della finanza italiana". Il Times titola "Unicredit esce dopo litigio su Libia" e in poche righe trova spazio per accennare al fatto che il manager è soprannominato "Mr Arroganza" dai media italiani. La Bbc spiega che, oltre alla vicenda libica, l'appoggio a Profumo è stato indebolito dagli utili che devono ancora scrollarsi di dosso gli effetti della crisi finanziaria.

L'Independent, nella sezione People, riassume la vicenda con una serie di domande e risposte. Profumo è stato talvolta eccessivamente "ambizioso" – scrive il quotidiano - e l'acquisizione della tedesca Hbv ha danneggiato la sua reputazione. Qualcuno si potrebbe stupire che sia sopravvissuto tanto a lungo, ma dopotutto "Unicredit non ha mai registrato perdite".

Cosa farà dopo? "Può assecondare la sua passione per l'Inter o fare un po' più di immersioni subacquee", suggerisce l'Independent. Attenzione però: anche in queste faccende il manager ce la mette tutta: "Una volta ha placato un politico arrabbiato con la banca tirando fuori la foto di uno squalo scattata in un'immersione".

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