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Finanza e Mercati Materie Prime

Il petrolio trova il suo equilibrio

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2010 alle ore 09:10.


ROMA
Dopo l'impennata di aprile, con il greggio vicino ai 90 dollari al barile, il range 70-80 $ si conferma come livello di stabilità che soddisfa venditori e compratori.
Anche il fronte speculativo, con una situazione della domanda in sintonia con la timida ripresa economica, non spinge con acquisti azzardati e attende che i consumi riprendano tono.
Anche questa settimana le notizie dagli Stati Uniti non sono troppo lusinghiere, visti gli stoccaggi nuovamente in rialzo: per il Dipartimento dell'Energia aumentano le scorte di greggio (di 1 milione di barili), di benzine (+1,6) e di distillati (+0,35). Analoghe erano state martedì sera le statistiche pubblicate dall'American Petroleum Institute, rispettivamente in aumento di 2,2 milioni di bbl, di 2,4 e di 2,5 milioni.
La fiammata causata appena otto giorni orsono dalla rottura dell'oleodotto canadese-americano (già ritornato in funzione normalmente) è assorbita e dopo la pubblicazione delle scorte i prezzi sono scesi di poco meno di 1 $/bbl. Ieri il Brent per consegna in novembre ha chiuso a 77,95 $/bbl e il Wti a 74,71 $, con la scadenza dicembre poco sopra i 76 dollari al barile.
Unico dato sorprendente questa settimana è l'aumento delle importazioni, nonostante l'arbitraggio particolarmente "chiuso" del Wti, il benchmark americano, nei confronti degli altri riferimenti.
La salita del greggio di 3-4 $ da inizio mese non è stata seguita da un parallelo guadagno dei prodotti finiti: la benzina è a fine stagione, per il gasolio continua la depressione notata dall'inizio dell'anno, complici anche le nuove raffinerie orientali (Indiana Reliance e coreane), l'olio combustibile invece ristagna, non trovando lo sfogo abituale verso Oriente.
Come risultato, i margini di raffinazione sono praticamente a zero e con gli arbitraggi chiusi sia a Ovest sia a Est i differenziali sono andati sotto pressione. Il più rapido a scendere è stato l'Ural, scivolato a 70 cents di sconto sia dal Baltico sia in Mediterraneo.
È importante che il trend nel breve periodo continui, per suggerire alle società di Stato mediorientali di correggere i listini di novembre. Gli aumenti di 1,40-1,80 $ in ottobre per sauditi, iracheni e iraniani non sono più assolutamente giustificati dai fatti e le "nomine" per ottobre sono ridotte al lumicino dai contrattisti. Sono stati pubblicati anche i listini della nigeriana Nnpc per ottobre, mediamente più alti di una trentina di cents rispetto al valore reale di mercato.

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Tags Correlati: Ahmadinejad | Iran | Opec | Prezzi e tariffe | Stati Uniti d'America

 

A fine mese, nuova puntata sulle sanzioni all'Iran. Si attendono chiarimenti sulle misure già prese e forse qualche inasprimento ulteriore. Tre giorni fa, a parole, Ahmadinejad aveva mostrato la volontà di esporre un piano di discussione a New York. Sintomo che le sanzioni mordono non poco, sul piano finanziario. Non sono però seguiti i fatti, fino a oggi, per far comprendere se ci sia seria volontà di superare l'impasse o solamente un estenuante guadagno di tempo.
Forse l'Iran dovrebbe cominciare a considerare che con una domanda ancora depressa, una capacità di riserva solo in campo saudita di quasi 4 milioni di barili/giorno e la necessità irachena di rientrare nel sistema delle quote Opec, l'indispensabilità del greggio iraniano è un'arma negoziale spuntata e forse, in un futuro di mesi, più che di anni, addirittura finita.
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