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Finanza e Mercati In primo piano

L'industria italiana migliora i margini

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2010 alle ore 07:47.

È presto per dire se il recupero dell'industria cominciato alla metà dello scorso anno, che emerge dalle elaborazioni di R&S, sia il segno di una ripresa duratura dell'economia o di un rimbalzo. È però un fatto che l'indice del Mon (il margine operativo netto del Top Industria manifatturiero) sia cresciuto di circa il 44% tra il 1° luglio 2009 e il 30 giugno 2010, mentre era crollato del 54% nel primo trimestre del 2009, e che siano in aumento del 4,4% gli investimenti tecnici nel primo semestre 2010.

Nel medesimo periodo è avvenuto un rafforzamento patrimoniale di tutte le imprese del campione: i mezzi propri degli azionisti sono saliti nel complesso dell'8%, a 184 miliardi, e quelli delle minoranze di quasi il 9%, a 27 miliardi. E anche se l'indebitamento finanziario è aumentato del 6% rispetto ai precedenti dodici mesi (e del 2% rispetto al 31 dicembre dello scorso anno), il rapporto tra questi è il patrimonio netto è diminuito nel complesso di 6 punti, dal 109 al 103 per cento. Senza contare, a livello economico, l'aumento omogeneo dei ricavi del 9%, a 169 miliardi. Permangono tuttavia, nell'ambito della congiuntura, elementi di incertezza. L'incremento del margine manifatturiero aggregato appare, per esempio, più debole nel primo semestre 2010 (+16%) rispetto a quello immediatamente precedente (+24%) e, se analizziamo i casi singoli, scopriamo che per alcune aziende l'andamento è ancora oggi discendente. Il primato negativo spetta a Buzzi Unicem, che ha perso il 59% del Mon tra gennaio e giugno 2010 contro il -24% registrato nello stesso periodo dal suo diretto concorrente, Italcementi. È anche arretrato del 47% il Mon di Prysmian (cavi), del 42% quello di Geox (calzature), del 36% quello di Tenaris (siderurgia), di un altro 36% quello di A2A (utilities pubbliche energetiche), di quasi il 12% quello di Lottomatica (scommesse) e all'incirca del 6% quello di Finmeccanica (ferroviario, aeronautico e armamenti).

Altri 17 gruppi sono invece in fase di netto miglioramento. Anzitutto Fiat (+283%) e Pirelli (+62%) cui si aggiunge la buona performance della ST passata da -553 a +95 milioni. Ma anche Cir (+46%), Eni (+40%), Mediaset (+30%), Luxottica (+19%) e Campari (+17%).

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Il risultato corrente del campione (prima delle operazioni straordinarie e delle imposte) registra un incremento del 26%, a 20 miliardi, che si riduce di quasi quattro punti a livello di utile netto soprattutto per l'ammontare elevato della tassazione (8,6 miliardi). Il tax rate raggiunge infatti il 42%, contro il 38% dello stesso periodo dell'anno precedente.

Diminuisce inoltre la liquidità del Top Industria (cassa, banche e titoli). Nel complesso essa scende di quasi il 15% rispetto a fine 2009, da 36 a 31 miliardi, soprattutto per i decrementi di Telecom (-2 miliardi) e Finmeccanica (-1,7) anche se la tendenza alla riduzione è generalizzata. Le disponibilità liquide di Telecom, i cui debiti finanziari totali ammontano nel semestre a 39,8 miliardi, sfiorano i 3,5 miliardi. Alla voce cassa e banche, Enel registra 3,5 miliardi su un'esposizione finanziaria complessiva di 68,6, Eni 1,7 miliardi su 25,2 e Atlantia poco meno di un miliardo su 11. È invece in netta controtendenza Fiat, con 13,3 miliardi di liquidità su quasi 31 di debiti finanziari totali. Il fenomeno è esploso negli ultimi due esercizi. Ancora nel 2008 il gruppo automobilistico registrava 3,7 miliardi di liquidità su 21,4 di debiti. Il salto è avvenuto lo scorso anno, quando le disponibilità del Lingotto hanno raggiunto i 12,2 miliardi a fronte di un indebitamento di 28,6, e il livello è continuato a salire nel 2010. Il 30 giugno la liquidità del gruppo ha di poco superato i 13,3 miliardi.

L'altro elemento di incertezza della congiuntura è rappresentato dal settore creditizio. Il Top Banche ha chiuso il semestre con un margine d'intermediazione, ossia ricavi, in calo di oltre il 7%, a 32,1 miliardi, con un risultato corrente in discesa del 22%, a 4,1 miliardi, e con un utile netto che segna un +5,5%, a 3,7 miliardi. Il Roe (ritorno del capitale netto) registra a livello aggregato un misero 4,3 per cento. Sono sostanzialmente stazionari, a causa della crisi, sia gli impieghi verso la clientela (quasi 1.500 miliardi) sia la raccolta (1.576 miliardi), mentre è in lieve aumento il patrimonio netto incluse le quote dei terzi (+1,8%, a 184,5 miliardi).

All'interno del margine d'intermediazione è consistente la contrazione del margine d'interesse (saldo tra tasso sui prestiti e tasso sulla raccolta): - 13 per cento. Ed è ancora più accentuata quella degli altri ricavi, -31%, riconducibile ai minori utili da trading e imputabile al calo di prezzo di azioni e bonds.
I costi del campione si riducono dello 0,8% appena. A contenere il crollo del risultato corrente è una provvidenziale riduzione delle perdite su crediti di oltre il 14%, da 8,1 a quasi 7 miliardi. Tale riduzione avviene nel contesto di un aumento del 6,7% dei crediti deteriorati rispetto a fine 2009. Incagli, sofferenze e crediti ristrutturati del Top Banche, l'ammontare complessivo dei crediti deteriorati, hanno raggiunto nel semestre 90,5 miliardi: cifra che rappresenta per l'aggregato il 6,2% dei crediti alla clientela, il 49% del capitale netto e poco meno dell'83% del capitale netto tangibile (da cui è escluso il valore degli avviamenti e delle attività immateriali in genere). Queste percentuali non toccano un livello così alto dal dicembre 2004. Il minimo storico si ebbe nel 2007. Rispetto a questa data, l'incidenza dei crediti deteriorati sul totale è aumentata all'incirca del 130%: un record storico. Gli istituti con il maggior volume di sofferenze in rapporto ai crediti alla clientela sono Monte Paschi (3,3%), UniCredit (2,7%) e Banco Popolare (2,6%); quelli con il maggior volume di incagli, Banco Popolare (4,9%), Bper (4%) e Popolare di Milano (3,1%).

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