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Guido Roberto Vitale: la crisi si batte solo con Keynes

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2010 alle ore 10:16.

«Sa cosa mi sorprende? Che nessun politico ha ancora pensato seriamente, e a costo dell'impopolarità, a politiche keynesiane per uscire dalla crisi. Neppure negli Stati Uniti, dove le infrastrutture sono da terzo mondo. Se si lanciassero grandi progetti infrastrutturali di medio-lungo termine, si creerebbe immediata occupazione per far ripartire i consumi e l'economia». Parla piano. Medita su ogni singola parola. Ma Guido Roberto Vitale lancia messaggi forti. Chiari. Dall'alto della sua lunga carriera (iniziata a Mediobanca nel '63, proseguita in Olivetti, alla Banca Privata Finanziaria di Sindona, per fondare poi Euromobiliare nel 1972 e dedicarsi infine alla consulenza nella Vitale e Borghesi e ora nella Vitale e associati) offre la sua lettura della crisi. E soprattutto la sua ricetta per uscirne. Non serve nulla di innovativo, di futuristico o di miracoloso: basta rispolverare il sempreverde Keynes.

L'idea sarebbe buona, ma come possono gli stati realizzare politiche keynesiane se sono indebitati fino ai denti? Con quali soldi costruiscono autostrade e quant'altro?
Il debito per finanziare i consumi è una cosa, mentre il debito per finanziare gli investimenti è tutt'altra cosa. Un conto è quello fine a se stesso, altro conto è quello che rinnova le infrastrutture: non bisogna confondersi. E comunque ci potrebbero essere altri modi, oltre al debito statale, per finanziare una vera politica keynesiana.

Cioè?
Io credo che mai come ora servirebbe un organismo europeo, magari garantito da tutti gli stati dell'Unione, in grado di emettere obbligazioni finalizzate allo sviluppo di progetti infrastrutturali di medio-lungo termine. Per la tranquillità degli investitori, si potrebbero fissare anche paletti rigidi per vincolare i finanziamenti all'esecuzione delle opere. Le faccio un esempio: si potrebbe vincolare il finanziamento alla realizzazione dell'autostrada o della ferrovia entro tempi prestabiliti. Così, se l'opera viene consegnata in ritardo, le imprese colpevoli dovranno versare una penale. D'altro canto, riceveranno un premio se consegneranno in anticipo.

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E quali progetti andrebbero finananziati?
Ovviamente infrastrutture, per esempio aumentando e velocizzando il trasporto ferroviario come stanno facendo gli svizzeri. Ma non solo. Si potrebbero anche realizzare delle intelligenti – e sottolineo intelligenti – spese militari, che sono ad altissima intensità di lavoro qualificato: impegnano fisici, ingegneri e tecnici, tutte figure che oggi vanno ad alimentare la massa dei precari.

Cosa intende per spese intelligenti?
Quelle nel campo dell'avionica, della sicurezza, ma non solo. Si potrebbe portare avanti anche qualche progetto spaziale: queste sono iniziative che potrebbero rivelarsi determinanti per il futuro tecnologico del paese. Le faccio un esempio: lei scia?
Sì.
Ebbene: la fibra di carbonio con cui sono fatti gli sci non è stata inventata per lo sport di montagna, ma per scopi militari. Insomma: buona parte della tecnologia è nata dal mondo militare, perché solo chi non bada a spese può veramente investire in ricerca. E questo risponde alla sua domanda sul debito degli stati: se si investe in ricerca e in infrastrutture, si aumenta il debito ma si accresce anche la ricchezza del paese. Oggi invece le spese sono in gran parte sterili. Quello che serve è una visione di lungo termine da parte dei nostri governanti.

Proprio quello che manca...
Purtroppo sì.

Di riforme, però, ce ne sono tante in cantiere: Basilea 3, derivati, principi contabili. Che ne pensa?
Beh, diciamo innanzitutto che di riforme si parla tanto ma si vede ancora ben poco di concreto. L'accordo di Basilea 3 sul capitale delle banche, che è stato opportunamente diluito nel tempo, va certamente nella giusta direzione. Ma non basta. Per esempio non si parla più, almeno in Europa, della separazione delle varie attività delle banche universali. E neppure della riforma dei criteri di remunerazione dei top manager. Questo è un problema serio, perché senza una politica seria sui compensi non si può bloccare la speculazione di breve termine delle banche.

Però il problema è a monte: anche togliendo i bonus ai banchieri, resta il fatto che la smania di realizzare utili ad ogni trimestre induce ad atteggiamenti speculativi. Il problema non è il bonus, ma la Borsa che vuole utili ogni tre mesi. Non crede?
Vero. Infatti io penso che i conti presentati ogni trimestre abbiano fatto il loro tempo. Secondo me basterebbero i bilanci annuali e i conti semestrali, da pubblicare entro 30 giorni dalla chiusura di giugno: più è frequente la presentazione di bilanci più si può dubitare sulla loro attendibilità.

E una riforma dei bonus cambierebbe qualcosa?
Io sono convinto che il manager di una banca vada pagato. Profumatamente. Però bisogna intendersi sul termine «profumatamente». Le faccio un esempio: ora un manager incassa un bonus quando realizza operazioni in derivati, ma a mio avviso quel premio andrebbe dilazionato nel tempo. La gratifica non andrebbe data subito, ma per esempio allo scadere del derivato e solo se tutto è andato a buon fine. Questo disincentiverebbe le speculazioni di breve termine. Fin che non si interviene su questo punto, non si supera la crisi internazionale.

Secondo lei non è finita?
No: siamo ancora in piena crisi in Europa e Stati Uniti. E il motivo è proprio questo: non abbiamo ben capito quello che è successo tra il 2008 e il 2009: a fronte di un mondo occidentale che ha smesso di crescere dal punto di vista demografico, si è concentrata sulla popolazione esistente tutta quell'attività che serve solo per mantenere in vita un sistema basato sull'avidità personale più che sulla crescita fisiologica della popolazione. E questo è stato reso possibile da un uso sconsiderato del debito.

È vero però che tutti ci guadagnavano: i mutui subprime in fondo davano una casa a chi non se la sarebbe mai potuta permettere. L'avidità era di tutti...
Questa è la patologia del capitalismo. Se non c'è una classe dirigente responsabile, le crisi saranno sempre inevitabili. Ovvio che tutti vogliano una casa, ma non tutti se la possono permettere. Servono politiche responsabili.

UNA CARRIERA IN PRIMA FILA

Gli esordi
Guido Roberto Vitale (73 anni), ha iniziato la carriera a Mediobanca. Era il 1963. Poi è passato alla divisione elettronica di Olivetti, poi acquistata da General Electric. Successivamente è passato alla Banca Privata Finanziaria di Michele Sindona.
La carriera
Nel 1972 Vitale fonda la banca d'afffari Euromobiliare, dove lavora fino al 1991-92. Successivamente ha fondato la società di consulenza indipendente Vitale e Borghesi, per poi creare – nel 2001 – la società Vitale e Associati di cui è presidente.

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