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Intervista a Patrick Artus: «Il cambio dell Yuan? Un pretesto»

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2010 alle ore 07:45.

PARIGI - «Ma che Cina e debolezza dello yuan. La responsabilità di quello che sta accadendo sul fronte dei cambi è degli Stati Uniti. Sono loro che devono cambiare». Patrick Artus, capo economista di Natixis molto apprezzato dall'Eliseo, ha appena inviato al presidente Nicolas Sarkozy un rapporto sulla "guerra delle valute", e il suo pensiero è rivelatore della linea che adotterà la Francia quando assumerà la presidenza del G-20: il 12 novembre, subito dopo il vertice di Seul che chiuderà il periodo sudcoreano.


Eppure tutti accusano Pechino di tenere artificiosamente basso il valore della sua moneta per favorire l'export.
Tutti chi? Gli Stati Uniti, che ne hanno ormai fatto lo slogan di una campagna rivolta all'opinione pubblica interna, perché devono pur trovare un colpevole della mancata, o quantomeno insufficiente, ripresa dell'economia americana. E la Commissione Ue, che si è allineata alla posizione Usa. Anche se non mi sembra che questa sia la convinzione dei governi europei. Comunque non di tutti quelli della zona euro. E certo non della Francia.

Quindi la Cina non ha colpe?
A mio parere no, e in ogni caso marginali. Non trascuriamo il fatto che i salari cinesi stanno aumentando mediamente a un ritmo del 17% annuo, con un effetto indiretto di apprezzamento dello yuan in termini reali.

E perché la responsabilità è americana?
Perché la politica espansiva della Fed sta creando un mare di liquidità. Con due effetti principali: l'indebolimento del dollaro, almeno a parole non voluto, e flussi di capitali enormi che, sfruttando il differenziale dei tassi, si riversano nei paesi emergenti, le cui valute si rafforzano. E questo senza neppure ottenere il risultato sperato, cioè una forte ripresa economica interna, creatrice di occupazione.

L'Europa, in questo scenario, che partita sta giocando?
L'Europa, come al solito, non ha una voce sola. Della Commissione abbiamo detto. Quanto ai paesi mi sembra che la Gran Bretagna condivida l'opinione americana. Parigi è abbastanza nettamente schierata con Pechino, mentre la Germania oscilla un po'. Da un lato parla di responsabilità cinesi. Dall'altro, come ha fatto proprio oggi il ministro dell'Economia Brüderle, pensa che le accuse degli Stati Uniti siano un po' strumentali e finalizzate a mascherare l'incapacità a risolvere i loro problemi di competitività. D'altronde sul tema dell'euro forte, Berlino ha tradizionalmente un atteggiamento positivo, legato anche al mix delle loro esportazioni, di valore e qualità medi superiori a quelle francesi. Com'è il caso anche dell'Italia.

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Tags Correlati: Eliseo | Fed | Francia | Germania | Natixis | Nicolas Sarkozy | Patrick Artus | Pechino | Qualità dei prodotti e servizi | Stati Uniti d'America |

 

In presenza di questo scenario quali previsioni si possono fare sulla presidenza francese del G-20?
Intanto è già importante che sia stato deciso come tema principale quello degli squilibri valutari e dei tassi di cambio. Ora si tratta di darsi da fare perché ai messaggi politicamente un po' facili ma che non portano da nessuna parte, del tipo "guerra agli speculatori con la creazione di un grande fondo globale in grado di correggere i flussi di capitali" oppure "basta con il dollaro valuta di riferimento, passiamo a un paniere di monete", si entri in una logica più pacata, più collaborativi. E più costruttiva.

Cioè?
Bisogna provare a costruire una sorta di alleanza tra Europa, o almeno parte dell'Europa, Cina e paesi emergenti che faccia a Washington questa proposta: voi la smettete di creare liquidità e noi, in cambio, adottiamo misure in grado di stimolare i consumi interni dei nostri mercati. Ovviamente, e questo vale soprattutto per la Cina, questi mercati devono diventare realmente aperti. Mentre oggi si assiste addirittura a un aumento del nazionalismo economico.

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