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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2010 alle ore 06:42.
PECHINO. Dal nostro inviato
«Saks è gestita da un management di prim'ordine, è uno dei marchi del lusso più forti negli Stati Uniti, e può contare su una rete retail di altissima qualità». Il giorno dopo avere portato al 19% la propria partecipazione azionaria nella catena di grandi magazzini americani, Diego Della Valle spiega così le ragioni che l'hanno spinto a ingaggiare un gioco al rilancio contro Carlos Slim, il tycoon messicano che fino all'altro ieri controllava la maggioranza della mecca dello shopping newyorkese.
Dottor Della Valle, ora che è diventato il primo azionista di Saks, può dirci quali sono i suoi piani sulla società americana?
Spiegheremo tutto in una conferenza stampa che faremo a New York il 28 ottobre. Per ora posso solo dire che per noi la partecipazione in Saks è una grande opportunità. Saks, infatti, è un marchio storico nel settore del lusso, con 45 negozi sparsi nei posti più suggestivi degli Stati Uniti, e con enormi potenzialità di sviluppo.
Tutto qui?
Beh, forse c'è anche un aspetto sentimentale. Da ragazzino, quando andavo a New York, in quel grande magazzino sulla Quinta Strada ci entravo quasi tutti i giorni ed era sempre una grande gioia. Oggi come allora, per me Saks è un pezzo d'America. Non nascondo che mi piace l'idea di esserne diventato il principale azionista.
Prima di andare a New York a illustrare l'operazione Saks è venuto a Pechino. Quanto conta oggi il mercato cinese per il gruppo Tod's?
Molto, come dimostra il film «An Italian Dream» che presenteremo stasera qui a Pechino. In questo cortometraggio, diretto da Matthias Zentner, 13 ballerini del Teatro alla Scala si esibiscono in un pezzo coreografato da Gianluca Schiavoni, in cui interpretano attraverso la danza i momenti della lavorazione fatta a mano necessaria per la creazione di un prodotto Tod's.
Qual è lo scopo di un evento come questo?
Trasmettere chiaramente al pubblico cinese qual è il posizionamento del marchio Tod's su questo e su tutti i mercati del mondo. L'obiettivo è che il nostro brand venga percepito come portatore di qualità, come fattore esclusivo, come elemento distintivo dello stile di vita italiano.
Tutto questo va bene a Pechino e a Shanghai. Crede, però, che nelle altre città cinesi, quelle cosiddette di secondo e di terzo livello, i consumatori siano maturi per comprendere un messaggio tanto sofisticato?