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Questo articolo è stato pubblicato il 16 novembre 2010 alle ore 17:29.
Tre anni e mezzo di carcere anche in secondo grado. I giudici d'Appello di Milano hanno confermato oggi la condanna inflitta dal Tribunale di Lodi poco più di un anno fa a Gianpiero Fiorani, l'ex amministratore delegato di Bpi imputato per falso in bilancio in uno dei tanti processi avviati nei suoi confronti e nati dalla vicenda della tentata scalata ad Antonveneta. Vicenda per cui il banchiere non solo era stato sospeso in misura cautelare dalla sua carica, ma anche arrestato.
Il verdetto della seconda Corte d'Appello, presieduta da Maria Clotilde Calia affiancata da Raffaele Martorelli e Marco Maiga, è arrivato dopo un paio di ore di camera di consiglio.
Oltre alla conferma della pena come aveva chiesto il sostituto procuratore generale Sandro Celletti, Fiorani è stato condannato a versare 10 mila euro ciascuno a una dozzina di piccoli azionisti che si sono costituiti parte civile.
«È una sentenza che non riesco a capire - ha detto uno dei suoi difensori, l'avvocato Cesare Cicorella - perché i punti interrogativi che abbiamo posto sono enormi e a parere mio superabili. Ricorreremo in Cassazione». Fiorani aveva già patteggiato una pena di tre anni e tre mesi di carcere solo per appropriazione indebita nell'ambito della vicenda sul tentativo di scalata ad Antonveneta, vicenda per cui è comunque sotto processo per agiotaggio. Sempre davanti ai giudici milanesi l'ex banchiere di Lodi aveva inoltre patteggiato altri sei mesi, convertiti in 18 mila euro di multa, per la tentata scalata a Bnl ed è imputato nel procedimento per la bancarotta di Hdc, la società il cui titolare era Luigi Crespi e che è fallita.
In più ci sono una seria di processi in corso in altre città, tra cui Roma. «Sono cause - ha proseguito il legale - a parer mio già segnate da una serie di ragioni anche politiche.
In quella di oggi non c'è stato alcun danno alla banca».
L'inchiesta per cui oggi Fiorani si è visto confermare la condanna riguarda una serie di omissioni nei bilanci 2003 e 2004 commesse «con l'intenzione di ingannare i soci e il pubblico, al fine di conseguire per sè o altri un ingiusto profitto».
Dalle indagini risultava che non sarebbero stati esposti l'effetto contabile e i rischi connessi a una serie di operazioni sui derivati e su titoli azionari, nascondendo così le perdite che si sarebbero aggirate a oltre 214 milioni di euro e facendo figurare una solidità patrimoniale in realtà inesistente. Lo scopo, come si legge nel capo di imputazione, era di «perseguire una strategia di sviluppo del gruppo creditizio ingiusta e illegittima» per consentire di «portare a termine importanti operazioni di espansioni quali l' acquisizione» di Antonveneta. Oltre al danno per i soci e i creditori, le perdite di bilancio avrebbero influito sulla situazione patrimoniale e portato a un aumento di capitale di 1,5 milioni necessario non solo per sostenere la tentata scalata ad Antonveneta e ripianare il buco, ma anche per rimediare al deprezzamento dell'azione di Bpi.