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Finanza e Mercati In primo piano

Le banche europee tornano a puntare sulla finanza pura

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2010 alle ore 06:42.

MILANO
Derivati e titoli illiquidi sono tornati a crescere nei bilanci delle grandi banche. È questo il dato più rilevante dello studio di R&S-Mediobanca sui primi 18 gruppi creditizi europei, tra cui UniCredit e Intesa Sanpaolo, al termine del primo semestre 2010.
I derivati sono aumentati in media del 26%, superando a livello aggregato i 4mila miliardi di euro, contro i 3.200 miliardi di fine 2009. Essi rappresentano poco più di un quinto degli attivi totali di bilancio. E i titoli illiquidi sono cresciuti di quasi il 6%, a 263 miliardi di euro, contro i 249 miliardi di fine 2009. Parliamo di attività finanziarie prive di mercato di riferimento, quindi attualmente non negoziabili, il cui valore, stimato dalla banca secondo modelli di calcolo interni, potrebbe rivelarsi aleatorio o, in casi estremi, addirittura pari a zero.

Dopo essere scesi del 39% nel 2009, gli attivi illiquidi hanno rappresentato al 30 giugno di quest'anno il 36% dei mezzi propri e il 38% del patrimonio di vigilanza del campione, ossia il patrimonio minimo a garanzia della solvibilità di una banca.
Le banche che nei primi sei mesi hanno registrato il maggiore incremento di valore in derivati, rispetto al 31 dicembre 2009, sono l'olandese Rabobank (+55%), lo spagnolo Banco di Santander (+42%), l'elvetico Crédit Suisse (+40%), la francese Société Générale o SocGen (+37%), la tedesca Deutsche Bank (+35,5%) e Intesa Sanpaolo (+35%).

La stessa Rabobank figura al primo posto per incremento delle attività illiquide (+102%). Seguono: l'inglese Royal Bank of Scotland (Rbs, +41%), Crédit Agricole (+24%), Intesa Sanpaolo (+21%) e Crédit Suisse (+20%). L'ammontare dei titoli senza mercato è superiore o prossimo al capitale di vigilanza nei casi di Deutsche Bank e Crédit Suisse, mentre è molto più contenuto per UniCredit (17%) e soprattutto per Intesa Sanpaolo (9%). Le banche italiane, ma anche quelle spagnole e olandesi, mostrano in sostanza profili nettamente più prudenziali rispetto al resto del campione. Esse appaiono, infatti, poco esposte sulle attività più rischiose di natura finanziaria e più concentrate sulla tradizionale erogazione del credito. Gli attivi di Intesa Sanpaolo e UniCredit sono costituiti per oltre il 57% da impieghi verso la clientela, cioè da prestiti alle famiglie e alle imprese.

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Tags Correlati: Finanza societaria | Hong Kong & Shanghai Bank | Intesa Sanpaolo | Mediobanca | R&S | Royal | Santander |

 

Per Banco di Bilbao e Santander gli impieghi alla clientela sfiorano il 60%, e per Ing e Rabobank sono rispettivamente del 52% e del 67 per cento. Le banche francesi, invece, sono a un livello decisamente più basso; così pure le inglesi, a eccezione di Lloyds e parzialmente di Hong Kong & Shanghai Bank (Hsbc). Il caso più è eclatante è quello di Deutsche Bank: il colosso tedesco impiega verso la clientela solo il 17% dei propri attivi, mentre il 54% lo destina ad altre attività ovvero ad attività finanziarie, come i derivati, che poco hanno a che vedere con il mestiere tipico della banca. Parliamo di una cifra gigantesca: quasi 1.050 miliardi di euro. Non a caso Deutsche Bank è tra gli istituti più a "leva": il suo patrimonio netto tangibile (rettificato degli attivi immateriali come gli avviamenti, esposti a svalutazione) è pari a neanche il 2% dei suoi attivi tangibili (anche questi depurati dei medesimi attivi immateriali). La maggior parte dei suoi attivi è in altre parole coperta da debito: fa leva, appunto, sul debito per speculare in attività finanziarie ad alto rendimento ma a rischio altrettanto elevato. È pressoché nella stessa situazione il Crédit Agricole.

Sono in aumento anche i crediti dubbi del campione (incagli, sofferenze e crediti ristrutturati). Nel primo semestre 2010 hanno mediamente raggiunto il 2,3% dei crediti totali alla clientela, contro il 2,2% dell'intero 2009, l'1,4% dell'anno precedente e lo 0,7% del 2007. A soffrire di più, in questo caso, sono Intesa Sanpaolo e UniCredit, con (nell'ordine) il 4,8% e il 5,7 per cento. Il paradosso è che, secondo i parametri di Basilea 2, tuttora in vigore, è richiesto meno patrimonio di vigilanza a copertura delle attività più a rischio come quelle finanziarie pure, rispetto ad attività relativamente meno rischiose come il credito alle famiglie e alle imprese.
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