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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2010 alle ore 06:42.
ROMA
Se ne è andato, stroncato lunedì sera da un infarto, Berardino Libonati, 76 anni, l'avvocato romano tra i maggiori esperti di diritto societario che negli ultimi quindici anni è stato una figura di spicco nelle vicende del mondo finanziario, sia in imprese pubbliche che private. Libonati era considerato un giurista prestato alla finanza e la sua esperienza, oltre alle relazioni ad alto livello, lo hanno portato più di una volta alla presidenza di grandi aziende per gestire la difficile transizione dalla gestione pubblica a quella privata.
È così che il professore di diritto fallimentare e commerciale, che a Roma condivideva lo studio con Pier Giusto Jaeger, fu chiamato nell'ottobre del '98 dall'allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, a presiedere Telecom Italia dopo la deludente gestione di Gian Mario Rossignolo, «il very powerful executive chairman». L'avventura durò sette mesi e si concluse con la scalata della Olivetti di Roberto Colaninno. Quasi dieci anni dopo, nel 2007, il ministro Tommaso Padoa-Schioppa lo chiamò a presiedere un'Alitalia sull'orlo del collasso, tra le gestione di Giancarlo Cimoli e quella di Maurizio Prato: dopo alcuni mesi Libonati si dimise senza nascondere il disappunto per come era stata gestita l'asta per tentarne la totale privatizzazione.
Queste esperienze sembrano più un eccezione che una regola (anche se è tornato nel gruppo telefonico con Franco Bernabè, che lo ha voluto alla presidenza di Telecom Italia Media) in una carriera passata a fare il consulente, l'avvocato, il consigliere indipendente o il vicepresidente dei principali gruppi privati della finanza nazionale. Nel salotto buono lo introduce, tra gli altri, lo stretto rapporto con Cesare Geronzi, già presidente di Capitalia, Mediobanca e oggi di Generali. Il giurista diventa nel 2002 presidente della Banca di Roma; l'anno precedente era entrato nel consiglio di amministrazione di Mediobanca, per conto del banchiere romano. Sono quelli gli anni in cui Libonati è impegnato nella stesura di una sorta di carta costituzionale dell'alta finanza del capitalismo italiano: dei patti di sindacato. Portano la sua firma i patti di piazzetta Cuccia e di Capitalia, quest'ultimo stilato nel 2003. Gli accordi parasociali hanno lo scopo di assicurare, dividendolo tra tante mani - povere di capitali -, il controllo delle società più importanti: la galassia Mediobanca-Generali e il gruppo bancario della capitale. Dopo la fusione tra Capitalia e UniCredit, Geronzi e Libonati spostano il centro delle attività a Milano: il primo ottiene la presidenza del consiglio di sorveglianza di Mediobanca - come contropartita al via libera alla fusione - mentre il giurista prende il suo posto alla vicepresidenza di UniCredit.