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Finanza e Mercati In primo piano

L'alleanza dei tre «finanziari» della Lega

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2010 alle ore 08:16.

Il governo di Silvio Berlusconi, costruito sull'asse Pdl-Lega Nord, si avvicina al voto del 14 dicembre. Nel Nord la decomposizione del berlusconismo e l'inabissamento delle élite democrat modificano i rapporti di potere e creano vuoti da riempire.


In questo contesto in forte movimento è in corso la rimodulazione degli equilibri nel gruppo dirigente del Carroccio. In particolare cresce il peso di Roberto Maroni. A sostenerne l'ascesa, secondo più di una fonte interpellata dal Sole 24 Ore, sarebbero i tre uomini che hanno in mano i dossier finanziari: Giancarlo Giorgetti, presidente della commissione Bilancio; Flavio Tosi, che ha una partecipazione in UniCredit tramite la Fondazione Cariverona e vuole dire la sua anche sul Banco Popolare; Roberto Cota che prova a condizionare dall'esterno la Compagnia di Sanpaolo. «C'è una convergenza dei tre sul nome di Maroni - dice un dirigente di primo piano della Lega - che ha motivazioni personali diverse, ma soprattutto una radice comune: l'estraneità al cordone sanitario che si è creato intorno a Umberto Bossi, il così detto cerchio magico che regola l'accesso al fondatore». Sullo sfondo, a medio-lungo termine, c'è il problema della successione. La rete di alleanze che si sta stendendo dentro alla Lega servirà a regolare e a condizionare le scelte strategiche del partito dei prossimi anni. Per carità, il carisma di Bossi è intatto. E nessun dirigente metterebbe mai in dubbio il suo potere. Inclusi i tre "finanziari": basti pensare come Cota, alla ricerca della vicinanza fisica con Bossi, si sia fatto immortalare il 9 novembre, nella prefettura di una Vicenza sotto il nubifragio, a reggere il portacenere mentre il Senatùr fumava il toscano.

Il problema è la guerra che si è scatenata tra il cerchio magico e gli altri. Il cerchio magico è formato dalla moglie di Bossi, Manuela Marrone, la ex leader del sindacato padano e attuale vicepresidente del Senato Rosi Mauro, il capogruppo a Palazzo Madama Federico Bricolo e quello alla Camera Marco Reguzzoni. Con, in più, Francesco Belsito, un ligure che a 37 anni gestisce la cassa del partito in qualità di segretario amministrativo, e Bruno Caparini, un grosso imprenditore settantunenne della Alta Valcamonica, membro del consiglio di sorveglianza di A2A e altra presenza sui dossier economico-organizzativi, per esempio il passaggio al digitale terrestre di Tele Padania. A parte Belsito e Caparini, che hanno competenze che sfumano nei problemi gestionali e finanziari, il "cerchio magico" è dunque un misto di famiglia e di politica: accudisce i segni della malattia e gestisce la macchina parlamentare della Lega. Qualcosa di coeso e opaco che ricorda vagamente la famiglia pascoliana, una specie di nido in cui brulicano affetti, paure, ricordi e interessi. Proprio in questa atmosfera avrebbe preso forma d'estate la definizione data da Bossi del figlio Renzo, detto "il trota", come l'«unico di cui mi fido». Fuori dal cerchio magico, però, le tensioni si acuiscono fino a delineare, in una prospettiva di lungo periodo, una convergenza di interessi sul nome di Maroni. Il quale, peraltro, nella sua silenziosa marcia verso la leadership interna del partito può contare su due elementi. Agli occhi della base la crescente autorevolezza che nasce dai risultati ottenuti come ministro dell'Interno contro la criminalità organizzata, percepita dal militante medio come del tutto estranea al proprio mondo, al di là di alcuni specifici rapporti patologici con la 'Ndrangheta creatisi nel mercato elettorale del Nord. Quindi, a fare salire il nome di Maroni, è il consenso ricavato fuori dal partito, con un profilo moderato-istituzionale che gli ha permesso di entrare con Tremonti, nell'ipotesi di una caduta di Berlusconi, nella short list di nomi in grado di ottenere il favore, o la non ostilità, di buona parte delle forze politiche e degli assetti di potere reale del paese.

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Tags Correlati: Banco Popolare | Confindustria | Consiglio di Stato | Flavio Tosi | Fondazione Crt | Lega | Livio Dezzani | Massimo Giordano | Palazzo Madama | Partiti politici | PDL | Piemonte | Roberto Cota | Roberto Maroni | Silvio Berlusconi | Umberto Bossi | Veneto

 

In questo contesto il contributo che i tre "finanziari" della Lega potrebbero dare alla sua salita è rilevante, ma dipenderà anche molto dalla loro capacità di mixare nei rispettivi ambiti influenza reale e creazione del consenso. Giorgetti, amico personale di vecchia data di Maroni e adesso suo sodale anche in funzione anti-Reguzzoni, è il meno interessato alla vita di partito e fonda il suo potere sull'unzione del Capo, che gli ha affidato i dossier economici. Bocconiano, ha un rapporto stretto con Tremonti. Dalla presidenza della Commissione bilancio, che nella prima repubblica ha rappresentato la base dell'ascesa di Paolo Cirino Pomicino detto "O' ministro", batte sistematicamente i luoghi simbolo del capitalismo italiano, dalle relazioni del governatore della Banca d'Italia alle riunioni dell'Abi, e tiene i rapporti con i post democristiani, guzzettiani ma non solo, che hanno ancora in mano le fondazioni bancarie e le popolari. Tosi ha costruito un modello di consenso economico: a Verona piace a molti imprenditori, ha stabilito un'alleanza tattica con il presidente di Cariverona Paolo Biasi, che peraltro è adesso almeno sotto il profilo teorico limitato nella sua capacità di azione da un' accusa di bancarotta preferenziale e dall'ingresso nel cda del leghista Giovanni Maccagnani, già vicesindaco di Verona e adesso titolare di un potere formale di controllo sulle erogazioni e sugli investimenti.

Un sistema di potere che gli ha permesso di non venire estromesso dalla Lega quando, nella corsa alla successione di Galan per la presidenza della Regione Veneto, si è contrapposto a Luca Zaia, indicato subito da Bossi come "il" candidato. Cota ha un rapporto personale strettissimo con Bossi («Cotino»), ma è fuori dal "cerchio magico" anche in virtù dell'avversione, ricambiata, con quel Reguzzoni che ha preso il suo posto come capogruppo alla Camera. A Torino sta provando a replicare il modello Tosi. Sotto il profilo del consenso sta facendo fatica: non soltanto perché è spesso a Roma, ma anche perché, in una città che percepisce ancora come estraneo il gruppo dei novaresi, il lavoro sul sottogoverno e sulla rappresentanza è affidato quasi esclusivamente a Massimo Giordano, assessore alle Attività produttive ed ex sindaco di Novara.

Un po' poco, in una città di sinistra e priva di un reale radicamento leghista. Soprattutto adesso che il rapporto tra i due si sarebbe allentato su una questione strategica per la lega piemontese: la scelta del candidato sindaco di Novara, con Cota che vorrebbe il capo della sua segreteria politica Giuseppe Cortese e Giordano che invece punterebbe su Alessandro Canelli, giovane assessore provinciale alla cultura. Per Cota vanno meglio le cose con gli assetti istituzionali: ha fatto un patto con gli industriali affidando la direzione regionale della sanità a Paolo Monferrino (ex Fiat e ex giunta dell'Unione industriale di Torino), l'urbanistica a Livio Dezzani (ex funzionario di Confindustria Piemonte) e l'internazionalizzazione con il Centro Estero a Giuseppe Donato (consigliere dell'Unione). Inoltre, ha un rapporto personale con Angelo Miglietta, segretario generale della Fondazione Crt, anche se nei fatti non riesce ad entrare nel feudo palenzoniano.

Diversa la questione con la Compagnia di Sanpaolo: Cota non ha approfittato del caos estivo per azzoppare Benessia e questi ha ricambiato quando, all'annullamento da parte del Consiglio di Stato del riconteggio delle schede che avevano messo in forse la vittoria del leghista, si è prodotto in un elogio della chiarezza conferita da questa decisione. Sullo sfondo della liaison Cota-Benessia resta l'ipotesi di una modifica statutaria della governance della Compagnia, che secondo più di un osservatore potrebbe portare a un innalzamento dei consiglieri in quota Regione, che oggi ha un consigliere contro i due del Comune di Torino, primo "azionista".
Dunque, al tavolo di poker i tre giocatori hanno ragioni diverse e stili di gioco differenti. Ma una cosa è certa: le puntate che potranno fare a favore di Maroni successore dipenderanno dal potere reale che riusciranno a ottenere fuori dalle stanze private di Bossi, in particolare nel rapporto con le capitali produttive e i forzieri del Nord, e dalla loro capacità di restare nelle grazie del "Capo", in una moderna riedizione del rapporto carismatico, bucando però il cerchio magico.
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