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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2010 alle ore 06:40.
Due mancate decisioni, ai capi opposti del mondo, hanno dato lo scorso week-end un tacito via libera alla risalita dei prezzi del petrolio. A Pechino, nonostante l'inflazione ai massimi da 28 mesi, le autorità monetarie hanno di nuovo soprasseduto alla tentazione di alzare i tassi di interesse. Mentre a Quito, in Ecuador, l'Organizzazione dei paesi esportatori di greggio ha scelto di non ritoccare i tetti di produzione, fermi da dicembre 2008: una decisione attesa, quest'ultima. Ma il fatto che l'Opec abbia stabilito di non riunirsi più fino a giugno 2011 è sembrato ad alcuni una sorta di viatico per nuovi e indisturbati rally. «Un vertice a giugno – afferma ad esempio Barclays Capital – dà luce verde al mercato per un balzo a 100 $ e oltre».
Ciò che per ora gli investitori hanno scelto di ignorare è il ritorno del ministro saudita Ali al Naimi alle "vecchie" preferenze in fatto di quotazioni del barile: «Un buon prezzo è 70-80 dollari», ha detto il leader de facto dell'Opec, rimangiandosi un'opinione espressa poco più di un mese fa, quando aveva fatto riferimento a una fascia di prezzo ottimale tra 70 e 90 $/bbl.
Le affermazioni di Naimi sono «significative», osserva Ed Morse, managing director di Credit Suisse. «Col Venezuela che definisce adeguato un prezzo di 100 $ e l'Iran che sostiene che la domanda è debole anche mentre corre alle stelle, i sauditi se non vogliono arrivare allo scontro dovranno silenziosamente rifornire di più il mercato».
Il rispetto delle quote di produzione è già ora molto scarso: secondo i calcoli di Bloomberg i paesi del Cartello nel 2010 hanno pompato in media 1,934 milioni di barili al giorno più del dovuto. Senza contare l'abbondante produzione di Ngl (liquidi da gas naturale), che è libera da quote e che sta crescendo a ritmi vigorosi. «In teoria – ironizza Adam Sieminski, chief energy economista di Deutsche Bank – potrebbero alzare le quote di un milione e mezzo di barili al giorno e non cambierebbe nulla».
Nonostante questo, sulla spinta della domanda, le scorte petrolifere hanno iniziato a ridursi. E lungo la curva delle quotazioni dei futures per la prima volta in due anni ha cominciato a fare capolino qualche segnale di backwardation: il greggio per dicembre 2011 costa più caro di quello per dicembre 2012.