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Finanza e Mercati Fondi 24

Dal private equity metà delle Ipo attese nel 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2011 alle ore 06:40.


I private equity puntano sulla ripresa dei corsi azionari nel 2011. I grandi fondi internazionali stanno programmando, solo negli Stati Uniti, quotazioni in Borsa (Ipo) per un ammontare di circa 14 miliardi di dollari, pari al 53% del totale delle operazioni comunicate ad oggi alla Securities and Exchange Commission (Sec), secondo i calcoli di Bloomberg.
Hospital Corporation of America Holdings, Nielsen Holdings, Kinder Morgan e un altro paio di dozzine di società hanno già chiesto autorizzazione alla Sec e arriveranno a Wall Street nei prossimi mesi. D'altra parte le difficoltà nello strutturare operazioni di leveraged buy out di grandi dimensioni non permettono l'uscita dagli investimenti con la cessione della società ad altri fondi (secondary buy out). E i grandi private equity si trovano nella necessità di realizzare i propri investimenti per remunerare gli investitori se nel prossimo futuro vorranno tornare sul mercato a raccogliere nuovi fondi.
Come non approfittare, quindi, della prima grande finestra che il mercato azionario potrebbe offrire? Per altro i numeri emersi finora sono ancora molto ridotti se confrontati con le operazioni di buy out realizzate dai fondi tra il 2005 e il 2007: i dati di Preqin indicano che nel triennio sono state chiuse acquisizioni a leva per un totale di 1,6 mila miliardi di dollari. Tutte società che sono ancora nei portafogli dei fondi.
Un esempio su tutti, quello della già citata Hospital Corporation of America: acquistata da una cordata capitanata da Kkr e Bain Capital per 33 miliardi di dollari, di cui 5,3 miliardi in equity e il resto in debito, la società si prepara a un'Ipo da 4,6 miliardi di dollari, necessari solo per pagare i debiti diventati negli anni insostenibili. Nielsen (rilevata da sei fondi tra cui Kkr, Blackstone e Carlyle) e Kinder Morgan (acquisita per 22 miliardi da Goldman Sachs, Carlyle, Riverstone Holdings e Highstar Capital) hanno una situazione del debito addirittura peggiore. Nel primo caso la società conta di raccogliere 1,75 miliardi di dollari, nel secondo caso le stime indicano azioni cedute per 1,5 miliardi.
Le credenziali con cui i private equity si presentano al mercato per altro non sono incoraggianti per gli investitori. Nel corso del 2010 le quotazioni di società in portafoglio ai fondi sono state in tutto 31 negli Stati Uniti per un ammontare complessivo di 6,6 miliardi di dollari (pari al 15% del totale delle Ipo). La performance ad un mese dalla quotazione risultava in media positiva per il 3,8% contro l'8,1% guadagnato dalle altre Ipo e il 7,8% medio messo a segno dalle società portate in Borsa dai fondi di venture capital (3,2 miliardi di dollari in tutto). Nonostante i risultati dello scorso anno, invece, i venture capital hanno a oggi presentato la documentazione per Ipo in calo a 2,86 miliardi di dollari nel 2011. Per i big del calibro di Facebook pare, infatti, si debba aspettare il 2012. Per i venture capital esiste, però, sempre l'uscita attraverso la cessione ai private equity: lo scorso anno il numero di società cedute dai venture capital ai fondi è stato più o meno pari a quante sono state portate in Borsa (23 contro 25).

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Tornando ai private equity, il disimpegno dei fondi dagli investimenti degli ultimi anni non è un trend limitato agli States. La scorsa settimana Carlyle, alla scadenza del lock up, ha ceduto sul mercato parte della sua quota nel gruppo assicurativo China Pacific: vendendo il 2,5% del suo 15,4% ha portato a casa 860 milioni contro gli 800 spesi tra il 2005 e il 2007 per rilevare l'intera quota.
Certo colpi come quello riuscito lo scorso anno a Permira e Goldman Sachs Capital Partners sarebbero l'uscita ideale per i fondi. I due private equity hanno valorizzato il loro investimento in Cognis cedendo l'azienda alla tedesca Basf per 4 miliardi di dollari.
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