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Incidente in Alaska spinge il greggio

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 06:41.


Un altro incidente che coinvolge Bp, a nove mesi scarsi dal disastro di Macondo. Un altro incidente che comporta la chiusura totale del maxigiacimento di Prudhoe Bay: evento che nell'estate del 2006 fece schizzare i prezzi del greggio al record storico (allora inferiore a 80 dollari al barile).
Con queste premesse, la reazione dei mercati alle notizie in arrivo dall'Alaska è stata ieri tutto sommato moderata. Una perdita riscontrata sabato lungo la Trans Alaska Pipeline, di cui Bp è operatore, ha costretto al blocco quasi totale – per ora ufficialmente a tempo indeterminato – di Prudhoe Bay, da cui vengono estratti ogni giorno 630mila barili di greggio, circa un decimo della produzione totale degli Stati Uniti. Nonostante questo, la compagnia britannica è riuscita a contenere il ribasso all'1,3% sul listino di Londra. E il petrolio non si è messo a correre in modo forsennato, anche se il Brent – considerato un'alternativa più plausibile del Wti al greggio sour dell'Alaska – ha chiuso ai massimi da settembre 2008: 95,70 dollari al barile.
Come ha osservato a caldo Ed Morse, di Credit Suisse, «non si possono rimpiazzare da un momento all'altro 600mila barili al giorno, specie se non ci sono altre fonti di produzione nei dintorni». Se il fermo dovesse protrarsi a lungo, potrebbe quindi costituire «un potente fattore rialzista, capace di spingere il petrolio verso i 100 $/barile». Per il momento, tuttavia, non ci sono elementi per pensare che sarà così.
In via ufficiale le autorità dell'Alaska affermano di non poter stabilire una data per il ripristino delle forniture, anche se si sta lavorando alacremente per deviare il flusso del greggio, bypassando la stazione di pompaggio interessata dall'incidente. L'agenzia Dow Jones riferisce però di aver saputo che «si tenterà di farcela questa settimana, forse addirittura prima di venerdì».
La perdita, del resto, è stata minima: «Da un punto di vista ingegneristico – assicura Lawrence Eagles di JpMorgan – per rimediare basterebbero 2-3 giorni». Dalla falla, subito individuata e arginata, non sono fuoriusciti più di 10 barili di greggio, già ripuliti al 90%, assicura la società che gestisce l'oleodotto, la Alyeska Pipeline Service Co., di cui Bp è l'operatore, nonché il maggiore azionista col 47% (ConocoPhillips e ExxonMobil ne possiedono rispettivamente il 28 e il 20%, affiancate con quote minori da Chevron e Koch Industries). Le raffinerie della West Coast, quelle maggiormente dipendenti dal greggio di Prudhoe Bay, affermano inoltre di essere per ora ben rifornite, grazie alle scorte proprie o a quelle custodite nel terminal marittimo di Valdez, che dispone di una capacità di stoccaggio di 9,3 milioni di barili e che non ha interrotto le spedizioni.

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Tags Correlati: Chevron | Ed Morse | Jason Kenney | Koch Industries | Lawrence Eagles | Macondo | Stati Uniti d'America

 

Addirittura, c'è chi sospetta che l'incidente sarebbe passato inosservato senza il coinvolgimento di Bp. «Se l'anno scorso non ci fosse stato Macondo – afferma Jason Kenney, di Ing Financial Markets – questo sarebbe solo un lieve incidente operativo. È sotto scrutinio solo perché è connesso con tutto ciò che riguarda Bp», compagnia che negli Usa era sorvegliata speciale già prima del disastro nel Golfo del Messico, per l'esplosione mortale nella raffineria di Texas City e per il sospetto che ci fossero manutenzioni inadeguate all'origine di altre perdite di greggio proprio in Alaska.
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