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Finanza e Mercati Azioni

La Borsa studia un restyling del listino a misura di «piccoli»

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2011 alle ore 10:33.

Cercasi Pmi con vocazione alla crescita. Ma anche investitori capaci di pensare "in piccolo" e disposti a credere in loro. È dall'incrocio tra queste due esigenze che nasce la nuova strategia di Borsa italiana per rendere più attraente il mercato per le Pmi. Sullo sfondo prosegue invece il risiko, con l'annunciata fusione tra Lse-Borsa Italiana e Toronto.

C'è un potenziale di qualche centinaio di imprese che potrebbero essere interessate al debutto in Borsa, mentre Piazza Affari dispone di un database di oltre cinquanta aspiranti investitori, italiani ed esteri, disposti a giocare un ruolo attivo. Il condizionale, però, è d'obbligo, perché il cantiere è aperto: a Palazzo Mezzanotte si lavora per imprimere un «cambio di passo e dotare i due listini dedicati alle Pmi, l'Aim Italia e il Mac, di nuovi candidati, cercando di perfezionare i modelli esistenti e renderli ancor più vicini alle esigenze di imprese e investitori», come sottolinea Luca Peyrano, responsabile del primary market di Borsa Italiana. Da ottobre è al lavoro un advisory board in cui siedono tutti gli attori sulla scena, dalle imprese al mondo della finanza passando per le banche. A presiederlo è il numero uno della Piccola industria di Confindustria, Vincenzo Boccia. «Volevamo che fosse il mercato a indicarci la strada da seguire – precisa Peyrano – per favorire la nascita di un ecosistema adeguato alla quotazione delle imprese a più bassa capitalizzazione». Due riunioni all'attivo e due gruppi di lavoro che puntano a esplorare un nuovo modello di mercato, con l'ipotesi di una fusione tra Aim e Mac, e a far luce sul mondo degli investitori. L'ambizione è giungere a risultati concreti entro la fine della primavera. «La sfida è riuscire a trasformare il circuito vizioso in percorso virtuoso, aumentando il profilo qualitativo del mercato. Quando avremo delle belle imprese del nostro nuovo capitalismo che si quotano, arriveranno anche gli investitori», spiega Salvatore Bragantini, ex commissario Consob e presidente di Pro Mac, da fine gennaio consulente di Borsa Italiana per le Pmi.

A corto di matricole
Il punto di partenza è l'esperienza maturata finora dai due mercati dedicati ai "piccoli". L'Aim Italia, lanciato a fine 2008 sulle orme dell'Aim londinese, conta oggi undici quotate, mentre il Mac, nato nel 2006, ne annovera appena otto. I numeri restano ancora piccoli. «Molto – precisa Peyrano – è dipeso dalle difficoltà del momento: in casi di crisi acuta come quella a cui abbiamo assistito in questi anni, la liquidità disponibile per i titoli a più bassa capitalizzazione si contrae e viene trasferita in asset più stabili e liquidi. Si è trattato di un fenomeno globale, non solo italiano, che ha penalizzato il comparto Pmi in generale».

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Oltre agli ostacoli congiunturali hanno pesato ragioni di natura strutturale. «Il problema principale in Italia – riconosce Peyrano – è l'assenza degli investitori. Con 19 società è difficile creare un portafoglio bilanciato, quando in prospettiva inizieremo ad avere 50-60 imprese quotate la situazione sarà più facile. Serve però uno sforzo maggiore da parte di tutto il sistema per dotarsi di investitori focalizzati sulle small cap: oggi ce ne sono solo otto, non tutti esclusivamente dedicati. Abbiamo bisogno di un profilo di investitori che gradisce una serie di tutele minime ma accetta un livello superiore di rischio a fronte di un potenziale ritorno più alto». Sul fronte delle potenziali matricole, spiega Barbara Lunghi, responsabile Mercati per le Pmi di Borsa Italiana, «intendiamo rivolgerci ad aziende piccole e medie che vogliono crescere e hanno una marginalità interessante e il debito sotto controllo». Per ora non si parla di soglie di fatturato, ma di dimensione della possibile offerta. «È chiaro però che la presenza o meno di un incentivo fiscale può cambiare il numero di imprese che potrebbero accedere al mercato».

Il nodo del fisco
Secondo gli esperti, infatti, una delle ragioni della scarsa attrattività dei listini da parte delle Pmi risiede proprio nell'assenza di un incoraggiamento sul fronte fiscale, come è avvenuto in altri paesi. «In Gran Bretagna negli ultimi dieci anni si sono quotate 2.500 Pmi, in Francia è stato superato da tempo il centinaio di small cap. Forse non per caso in entrambi i paesi il processo è stato avviato in presenza di incentivi fiscali alla quotazione», sottolinea Peyrano. «Per invertire la rotta – aggiunge Bragantini –, punterei a scoraggiare il ricorso al debito, limitando, per esempio, la deducibilità degli interessi passivi». Per Stefano Manzocchi, direttore della Luiss Lab of European Economics, la chiave di volta è «un sistema di tassazione particolare per incentivare la patrimonializzazione e la quotazione delle Pmi».

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