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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2011 alle ore 06:39.

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Davide Paolini
È un interrogativo che prima o poi si pone di fronte a un vino: una bottiglia costosa è garante di un eccellente rosso o di un ottimo bianco o di interessanti bollicine? No, non lo è in assoluto, così come per un abito o un mobile. Però non è consigliabile farsi attrarre da etichette che offrono prezzi che non coprono o quasi i costi di bottiglia, tappo, etichetta e distribuzione. Ci sono limiti inferiori certi, oltre i quali i rischi di bufala sono assicurati, mentre il plafond superiore è dato soprattutto dal valore complessivo dell'azienda produttrice (storia, serietà, costanza nella qualità, considerazione delle guide, terreni, vitigni), insomma della griffe. Il consumatore deve rendersi conto che partecipa alla costruzione del prezzo, acquistando o meno questi vini. Chi dispone di un budget limitato dovrà prima individuare il vitigno gradito, il territorio desiderato e poi frugare tra i concorrenti della bottiglia must. Negli scaffali di enoteche, negozi, Gdo sempre più la scelta dei vini made in Italy è cresciuta, ormai non ci sono più territori Doc (Denominazione di origine controllata) e pure Docg (Denominazione controllata e garantita) con poche etichette. Dunque si può sperimentare e tener presente pure che molte cantine importanti hanno, nella loro offerta, vini di prezzo interessante che, prodotti in quantità, servono spesso per sostenere i rossi o i bianchi d'immagine (si vedano le liste in queste due pagine che riportano anche i prezzi indicativi).
Comunque è sempre importante leggere con attenzione l'etichetta, la provenienza, le sigle (Igt, Doc, Docg), rendersi conto se il vino è imbottigliato all'origine dal l'azienda che lo mette sul mercato. Infine si ricordi che fra gli outsider, magari fino agli 8 o 9 euro, si può nascondere quello pronto a salire nella hit parade della critica, aspetto che successivamente farà alzare il prezzo. Di conseguenza chi riesce a individuare questa etichetta paga meno e ha la soddisfazione di aver scoperto la chicca. Cosa che non succede acquistando vini già affermati, ma che fanno piangere il portafogli. Inoltre i vini di alto prezzo non sempre sono i più pregiati: succede che nei wine tasting vengano preceduti nelle graduatorie da etichette meno costose e conosciute al pubblico.
Tanti sono i luoghi comuni che andrebbero sfatati. Oltre alle etichette superstar, ci sarebbe anche quello sulle modalità di consumo. Ad esempio, chi l'ha detto che per le bollicine serve la flute? E che il bianco va bevuto freddo? Si aggiunga che per anni si è diffusa la convinzione che il pesce non si possa abbinare al vino rosso, e il quadro mitologico del mondo vino è fatto. Allora voglio smentire, rischiando le saette di qualche Zeus delle degustazioni. Esistono rosè e rossi che si sposano perfettamente con piatti di mare dalle più svariate preparazioni. La loro acidità, paragonabile a quella di un bianco, conferisce sensazione di fresco e pulisce la bocca dai sentori forti tipici del pesce. Infine, la convinzione che il vino del contadino sia naturale perché fatto da un agricoltore, lascia il tempo che trova, in quanto nessuno può verificare l'igiene della cantina, il metodo di trattamento delle uve, l'aggiunta o meno di zucchero durante l'imbottigliamento. Si parla tanto di cultura del vino, ma poi si rischia di cadere nelle espressioni stereotipate legate all'odore di tappo o ai fantomatici tannini. Bisognerebbe allora indagare se chi dice di conoscere la materia sa qual è l'origine dei vitigni, conosce gli autoctoni e i luoghi di provenienza. La storia, la tradizione e il territorio sono importanti quasi quanto la degustazione nella comprensione di un calice. Poiché il vino è da sempre un alimento da ascoltare e apprezzare con il cibo. E non degustato, a parte, con un linguaggio che non gli appartiene, privilegio questo solo di enologi e addetti ai lavori.
(ha collaborato Elena Maccone)
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