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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2013 alle ore 21:17.
Almeno a guardare gli andamenti di borsa, l'energia solare sembrava tramontata: l'estate scorsa, l'indice del settore era in calo dell'89% sullo S&P500 rispetto a quattro anni prima. Poi, negli ultimi mesi il business fotovoltaico – se non proprio con un'alba in piena regola – ha almeno rivisto un po' di chiarore: le aziende quotate hanno mediamente battuto il benchmark S&P500 dell'11%. E qualche analista del settore, seppur con una certa prudenza, comincia a ventilare la possibilità che il sole torni a splendere sul mercato.
La Deutsche Bank, ad esempio, sostiene che nel 2013 il business globale dei pannelli solari crescerà di un sonoro 22%, aggiungendo 33,4 gigawatt alla base installata su scala mondiale. La crescita «in Cina e India – dicono all'istituto tedesco – compenserà il calo in Germania e in Italia», dovuto al ridimensionamento degli incentivi statali. Non a caso, il ritorno degli investitori sull'energia solare è stato anche incoraggiato dall'annuncio arrivato da Pechino l'8 gennaio: vista l'aria sempre più irrespirabile della capitale, la Repubblica Popolare raddoppierà quest'anno le installazioni fotovoltaiche. E l'obiettivo 2015 dei 21 Gigawatt di potenza, è stato rialzato a 35 Gw. Quando poi la MidAmerican Energy Company di Warren Buffett ha comprato dalla cinese Suntech due impianti solari adiacenti in California (che insieme rappresentano il più grande impianto al mondo) per 2,5 miliardi di dollari, il mercato ha ulteriormente brindato a un business promettente, finito nella polvere e oggi forse destinato a risorgere.
Il guaio è che molti investitori, col sole, si sono scottati. Prendiamo ad esempio proprio la Suntech Power Holdings, cofondata da Zhengrong Shi, uno scienziato con esperienza e fama internazionale. A Wall Street, il titolo Suntech era arrivato a 80 dollari sul finire del 2007, quando le prospettive commerciali per la tecnologia fotovoltaica, che trasformava fotoni in elettroni senza emettere anidride carbonica, erano alle stelle. Piombato la scorsa estate a un minimo di 0,71 dollari, ha rischiato l'estromissione dal Nyse. Oggi che è più che raddoppiato a quota 1,69 dollari – anche grazie all'affare con Buffett – è stato riconfermato alle contrattazioni.
Ai concorrenti, non è andata molto meglio. Le altre grandi società cinesi quotate anche a Wall Street, come Yingli Solar, Ldk Solar o Trina Solar, hanno seguito la stessa traiettoria discendente per tre lunghi anni. L'americana First Solar, leader di mercato nel segmento del film sottile, quotava 300 dollari sui massimi, poi è scesa fino a 11 dollari: ora è risalita a 28, pari a una capitalizzazione di 2,5 miliardi. In Europa, la norvegese Rec è riuscita a sostenere la tempesta con un forte ridimensionamento e la tedesca Q-Cells, già bandiera continentale di un business che pareva destinato solo a crescere, si è salvata in extremis dalla bancarotta finendo nella braccia della coreana Hanwha.
In realtà, il business solare è cresciuto, eccome. Per il 2012 il consenso degli analisti prevedeva una domanda intorno ai 25 Gw di nuovi pannelli fotovoltaici, ma secondo le prime stime la capacità mondiale è cresciuta di 31. Il problema sta all'esatto opposto: la sovracapacità produttiva. È questa ad aver causato una repentina discesa dei prezzi, quindi un calo della redditività e, di conseguenza, delle capitalizzazioni di borsa.
La sovracapacità sussiste. Ma con un felice rovescio della medaglia: il continuo calo dei prezzi ha incoraggiato la Cina ad alzare la posta in gioco, oltre a mettere sul piatto altri due miliardi di dollari di sussidi alla sua industria fotovoltaica. Sussidi che – va ricordato fra parentesi – hanno innescato una disfida commerciale con l'America. Ma anche altri potrebbero essere incoraggiati dai prezzi ai investire: l'Arabia Saudita ha da poco annunciato di voler riversare sul fotovoltaico 109 miliardi, di dollari da qui al 2032.
L'ultima Ipo arrivata sul mercato, quella della californiana SunCity – forse grazie al perfetto timing con il rialzo degli indici del settore – è stata un successo: dopo aver debuttato al Nasdaq ai primi di dicembre, ha visto il titolo salire da 9 a 15 dollari. Può essere ancora rischioso, investire sul solare: i fatturati cresceranno, ma non altrettanto i profitti. A questi prezzi e con questa competizione però, il consolidamente dell'industria solare – a colpi di fusioni e acquisizioni – è inevitabile, con possibili ricadute positive per gli investitori. Dopodiché, corporation più grandi ed efficienti, aiutate dai loro più grandi laboratori di ricerca e sviluppo, potranno cogliere le future promesse della tecnologia. Il sole, presto o tardi, sorge sempre.
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