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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2013 alle ore 07:55.
L'ultima modifica è del 07 novembre 2013 alle ore 18:58.

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In principio fu Netscape, il primo browser che aprì al grande pubblico le nuove frontiere della navigazione nell'oceano infinito del web. E allo stesso tempo il titolo che ha inaugurato la grande corsa all'oro di internet, la prima grande bolla finanziaria dell'era digitale. Molti dei protagonisti di quell'era sono scomparsi e i loro nomi non dicono molto, ma brand come Geocities, VerticalNet o Pets.com hanno fatto cavalcare le illusioni di tanti piccoli investitori che vedevano lievitare il valore delle azioni appena sottoscritte, spesso ancora prima che fossero quotate ufficialmente in Borsa.

Un po' come succede adesso con Twitter, che continua a correre sull'onda di quotazioni che appaiono davvero riportare a quei giorni. Con una valutazione pari a 27 volte il fatturato previsto per quest'anno (neanche a parlarne di multipli degli utili visto che continua a essere in rosso), sulla base di un prezzo di 25 dollari per azione Twitter sale di diritto sul podio dei titoli più "cari", testa a testa con Palm che nel 2000 debuttava con una capitalizzazione che sfiorava le 30 volte il fatturato. E batte Facebook che si è fermata 26 volte nel momento del suo discusso debutto in Borsa lo scorso anno.

Facebook, all'inferno e ritorno
Quella del social network da oltre un miliardo di utenti è stata infatti, nel bene e nel male, la storia paradigmatica del nuovo corso dei titoli web 2.0, quello partecipativo delle community e dei social network. Gonfiato a dismisura all'avvicinarsi della quotazione, grazie anche a un'abile strategia mediatica delle banche d'affari (Morgan Stanley è stata multata per aver influenzato gli analisti), il titolo del social network fondato da Mark Zuckerberg è crollato dopo il debutto nel febbraio 2012. Ci ha messo più di un anno per recuperare i valori della quotazione (105 miliardi di capitalizzazione) e oggi vale quasi 120 miliardi dopo un rimbalzo di oltre l'85% da inizio anno. Anche Linkedin ha potuto beneficiare della scia della regina dei social network raddoppiando quasi di valore nel corso del 2013: il valore del social network professionale è così sostanzialmente triplicato rispetto ai 9 miliardi dell'Ipo del maggio 2011.

Non altrettanto bene è andato altri marche del web 2.0. Groupon ha dovuto affrontare una concorrenza sempre più aspra degli altri siti di affari giornalieri ancora prima che potesse sviluppare un poprio modello di business, mentre Zynga, il produttore di giochi per Facebook, non è riuscito a replicare il successo planetario di FarmVille: entrambi i titoli hanno lasciato sul terreno quasi la metà del proprio valore dalle rispettive quotazioni a fine 2011.

Quelle che hanno resistito: Amazon la migliore
Al netto delle bolle finanziarie, il mercato azionario ha valorizzato sul lungo periodo le società che hanno saputo crescere grazie a un modello dai contorni più o meno precisi, comunque basato principalmente sulla pubblicità. Ne è un esempio chiaro Google, il motore di ricerca la cui quotazione nel 2004 aveva fatto ripartire le quotazioni hi-tech dopo lo scoppio della bolla internet. Valutato nove anni fa 27,2 miliardi di dollari, anche grazie a un meccanismo di asta che aveva frenato il peso delle banche nella determinazione del prezzo di collocamento, oggi la "grande G" capitalizza 341 miliardi, dodici volte il valore iniziale.

Ancora meglio hanno fatto i titoli più solidi, i grandi "reduci" della prima ondata dei titoli internet. Il sito di aste online per eccellenza, eBay, è stato quotato nel settembre '98, nel pieno della bolla internet, con una valutazione di 1,9 miliardi di dollari, oggi ne vale 65,7: il che vuol dire che un dollaro investito quindici anni fa in titoli eBay oggi si sarebbe trasformato in 34,5 dollari. E il valore di Yahoo!, il sito che inaugurò l'era dei portali internet, era pari a 848 milioni di dollari in fase di Ipo nel '96 diventati oggi quasi 30 miliardi, più o meno 35 volte tanto. Ma il campione di rendimento è senza dubbio Amazon: la libreria online diventata con il passare degli anni in sito di vendita di musica, ebook, elettronia di consumo, era valutato 562 milioni nel '97, mentre oggi il suo valore è lievitato a 163 miliardi: per capirci, un dollaro investito allora oggi varrebbe 290 dollari!

Il cimitero degli scomparsi
Se quelli che hanno saputo darsi un modello solido di business e di generazione del reddito sono riusciti a resistere, sono molti i titoli scomparsi del tutto. Perfino un segmento dedicato ai titoli tecnologici come il Nuovo Mercato di Piazza Affari è stato spazzato via, come tanti suoi omologhi europei che puntavano a diventare il Nasdaq continentale. Ci sono titoli assorbiti nelle fusioni, come America Online, confluito in quello che doveva essere il modello del web nell'integrazione con Time Warner. O come Geocities, una delle prime comunità virtuali confluita in Yahoo! e chiusa nel 2009. Ma sono tanti gli esempi di società le cui esistenze non sono state all'altezza delle promesse e che hanno dovuto gettare la spugna. Qualche esempio per tutti, anche se si tratta di nomi che oggi non dicono molto. Netscape è stato il collocamento che ha dato il via alla grande bolla .com: era il primo browser web, ma è stato surclassato da Internet Explorer di Microsoft che lo infilava in tutti i pc dotati di Windows ed è finito a gambe all'aria. Non si può dimenticare eToys, la cui capitalizzazione iniziale era superiore a quella del "gemello" fisico Toys "R" Us, ma con un fatturato che era un decimo: finì in bancarotta. Così come svanì nel Chapter 11 anche il sogno di Pets.com, che divenna un'icona degli eccessi dot.com: il sito dedicato agli animali domestici non aveva praticamente fatturato quando venne quotata, Wall Street lo valutò 220 milioni di dollari. Era il febbraio 2000, un anno dopo o poco più scoppiò la bolla.

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