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Yuan, terza caduta in tre giorni

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Yuan, terza caduta in tre giorni

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
TOKYO - Terzo giorno di svalutazione per lo yuan, mentre in Asia cominciano a emergere segnali di relativa stabilizzazione dei mercati azionari e delle valute. La banca centrale cinese ha fissato la parità centrale della divisa a 6,4010, l'1,1% sotto il fixing del giorno precedente (6,3306), che a sua volta risultava più basso dell'1,6% rispetto a quello di martedì (-1,9% su lunedì). Dopo i segnali di intervento nella parte finale delle contrattazioni di ieri - con vendite di dollari da parti di gruppi finanziari statali - il differenziale con il cambio prevalente nel trading onshore si è ridotto di molto (con un cambio intorno a 6,43) e sul mercato offshore risulta limitato a circa l'1% (con un cambio intorno a 6,48).

La Pboc cerca di rassicurare. Secondo indiscrezioni, dentro il governo cinese ci sono autorevoli personaggi che invocano un deprezzamento complessivo intorno al 10 per cento. Anche oggi, tuttavia, la People's Bank of China ha sottolineato in un comunicato di essere in favore di un cambio stabile a un livello ragionevole e di equilibrio, con un livello coerente tra onshore e offshore: i fondamentali in crescita dell'economia, il surplus commerciale, la solida posizione fiscale e le ampie riserve valutare offrono, ha evidenziato, un “forte sostegno” al tasso di cambio. In un raro briefing, il vicegovernatore Yi Gang ha ripetuto questi concetti sulla “mancanza di basi” per un persistente trend di deprezzamento. La PBoC ha dichiarato che vigilerà su eventuali flussi valutari anomali cross-border e si prepara a una apertura del mercato valutario a istituzioni finanziarie straniere qualificate nel quadro del nuovo sistema di fissazione del cambio che darà preminenza alle forze di mercato. L'agenzia Fitch, intanto, ha sottolineato che gli ultimi sviluppi sono evidentemente legati a “più ampie pressioni sull'economia” e d'altra parte evidenziano che Pechino resta “committed” verso riforme orientate al mercato.

Fdi In crescita. Nel quadro delle rassicurazioni ai mercati si inserisce anche il dato rilasciato oggi dal Ministero del Commercio cinese, secondo cui gli investimenti diretti stranieri (FDI) sono aumentati a luglio del 5,2% rispetto a un anno prima. Nei primi sette mesi di quest'anno gli FDI risultano quindi in espansione del 7,9% a 471,1 miliardi di yuan, quasi 77 miliardi di dollari. Il calo dell'export dell'8,3% accusato a luglio (dato di sabato scorso) aveva impressionato negativamente e probabilmente contribuito a orientare le autorità verso una svalutazione che faccia recuperare competitività al settore manifatturiero.

Prove di recupero delle borse asiatiche. Intanto gli investitori, incoraggiati dal recupero finale a Wall Street di ieri sera dopo il flop delle piazze europee, sembrano aver ridimensionato i timori di forte destabilizzazione dei mercati, nella speranza che Pechino freni ulteriori svalutazioni. A Tokyo la Borsa ha oscillato per lo più in territorio positivo, ignorando i dati peggiori delle attese sugli ordini di macchinari industriali (in calo del 7,9% a giugno). L'indice Nikkei ha chiuso in rialzo dello 0,99% a 20.595,55 punti. La Borsa di Shanghai ha avuto un andamento volatile, tra un avvio positivo e un successivo ripiegamento, prima di chiudere in rialzo dell’1,76 per cento. Il dollaro ha perso un po’ di forza anche perché gli investitori sono ormai meno convinti che la Federal Reserve avvierà la manovra di rialzo dei tassi Usa già il prossimo 17 settembre.

Seul conferma i tassi. Oggi, intanto, la Banca di Korea ha confermato i tassi di riferimento al minimo storico dell'1,5% al quale li aveva portati il mese scorso sull'onda del rallentamento economico provocato anche da una crisi sanitaria ora apparentemente rientrata (quella della Sindrome respiratoria mediorientale). Vari analisti ritengono però che l'istituto centrale sudcoreano dovrà allentare ancora la sua politica monetaria se per effetto della svalutazione cinese il won (oggi in netta ripresa) dovesse relativamente rafforzarsi fino a incidere negativamente su un export già in rallentamento.

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