La prova regina arriva a metà marzo. È allora che Disney comunica di aver ufficialmente creato una nuova business unit da cui lancerà una piattaforma di video-streaming, come parte di una riorganizzazione strategica della compagnia. Questo servizio di streaming vedrà la luce verso la fine del 2019 con contenuti Disney, Pixar, Marvel e Lucasfilm. Già nel primo anno in scuderia sono previsti 4 o 5 film e altrettanti original tv show. Tutto questo mentre, nel frattempo, la società guidata da Bob Iger ha deciso di tagliare i ponti con Netflix per i suoi prodotti.
Ha tutti i tratti del duello rusticano, insomma, quello fra Disney e Netflix. Due vessilliferi in una sfida paradigmatica, che vede (e vedrà) schierati gli uni contro gli altri i giganti dei contenuti e i big della tecnologia. Forse la mossa ostile di Disney contro Netflix segna l'inizio di un nuovo capitolo in una storia davvero tutta da scrivere in cui l'osmosi fra contenuti e tecnologie rappresenta da un lato il comune denominatore del momento e dall'altro la vera sfida del futuro.
A guardare alla casistica che si presenta, sul tema risulta evidente l'esistenza di un tris di imperativi strategici: stazza, globalizzazione e integrazione verticale.
È in questa luce che vanno letti i (tentativi di) deal fra Disney e 21st Century Fox o di Comcast-NBC per l'acquisizione di Sky. È sicuramente in questa logica che vanno letti altri deal degli ultimi anni a partire dalla stessa acquisizione di NBC Universal da parte di Comcast (completata nel 2011) o a quella di Direct TV da parte di AT&T (2015). Tutto questo anche nella consapevolezza che sono caduti gli steccati e il quadro è diventato estremamente più fluido. La convivenza fra giganti dei contenuti e piattaforme si è fatta del resto sempre più ardua da quando i vari Netflix, o Amazon con il suo Prime Video, hanno finito per mettere in campo miliardi di dollari per i contenuti originali.
Certo è che in questa trama uno dei più autentici colpi di scena è arrivato a dicembre quando The Walt Disney Company ha raggiunto un accordo per l'acquisizione di 21st Century Fox con il passaggio a Disney di 20th Century Fox (tra i franchise “X-Men”, “Avatar” ed “Alien”), le attività via cavo (FX Networks e National Geographic Partners) e quelle internazionali, compreso il 39% di Sky Plc. Il tutto per complessivi 52,4 miliardi di dollari, ma che salgono a 66,1 miliardi comprensivi di 13,7 miliardi di debito di Fox.
Tutto deciso? Neanche per sogno, visto che Comcast, uno dei leader della tv via cavo in Usa proprietario di Nbc Universal e Dreamworks ha messo in scena il classico coup de théâtre: l'assalto al “gioiello della corona” dell'impero Murdoch, proprio quella Sky che nel suo essere “paneuropeo” ha il suo punto di forza. A completare il quadro c'è il takeover di 21st Century Fox sul 61% di Sky ancora non posseduto che è stato lanciato a fine 2016, che arriverà al redde rationem regolamentare il prossimo 1° maggio, ma che in Uk sta incontrando sul versante delle Authority, non poche difficoltà. Tanto che proprio qualche giorno fa è stata avanzata l'ipotesi di una vendita di Sky News a Disney o comunque lo separazione delle news dal resto di Sky, cercando così di rimediare a quello che l'Authority Uk ritiene il vero vulnus.
Tutte operazioni di rafforzamento in cui i convitati di pietra sono quegli Ott che stanno turbando i sonni soprattutto della tv e della pay tv tradizionale. Del resto alcuni numeri sono eloquenti: in Usa nel 2018 la pubblicità online chiuderà l'anno con un tasso di crescita a due cifre, vicino o superiore al 15% mentre la TV si accontenterà di una stagnazione o, nel migliore dei casi di una crescita di pochissimi punti percentuali. Stesso discorso per il numero degli abbonati alla pay-TV che decrescono mentre i tassi di crescita degli abbonati alle piattaforme SVoD (quelli in streaming in cui si paga con abbonamento) continuano ad essere elevatissimi (solo Netflix +10% a fine 2017 sull'anno precedente).
È chiaro che c'è tutto questo anche dietro la crescente integrazione fra offerte di telecomunicazione (telefonia fissa e mobile e connessione Internet) e pacchetti di pay-TV, che sta diventando una strada obbligata per gli operatori di Tlc, ma da percorrere con attenzione e idee chiare. Anche perché le strade qui sono due: cercare un posizionamento a margine del grande mercato della pay-TV con pacchetti alternativi e a basso costo o investire in maniera consistente in contenuti - prevalentemente sport e dunque calcio - cercando un posizionamento di primo piano sul mercato. Le due strade, intraprese da vari operatori, sono costellate di tanti insuccessi e da rari casi di successo fra cui, ad esempio, quello di Telefonica in Spagna che dopo aver tentato un posizionamento alternativo con un'offerta low-cost (Imagenio) è diventato il primo operatore di pay-TV con l'acquisto del 100% di Digital+ incorporata poi completamente nella propria offerta con il marchio Movistar.
Sono le alleanze comunque il vero piatto forte del momento, intese sempre più come baluardo dinanzi all'avanzata dei nuovi player. In Spagna, ad esempio, Mediaset Espana sta definendo insieme ai competitor Atresmedia (partecipata dall'italiana De Agostini al 20,8%) e a Tve il progetto di una piattaforma comune per la creazione, lo sviluppo e la distribuzione di contenuti digitali.
In questa prima parte dell'anno a spingere sull'acceleratore delle alleanze è stata comunque Sky, a livello europeo, ma anche in Italia.
Nel primo caso va annoverata l'intesa strategica fra Sky e Netflix di inizio marzo. Dal punto di vista pratico il risultato sarà visibile nella creazione di un pacchetto tv ad hoc con all'interno contenuti della pay tv della galassia Murdoch e del colosso del videostreaming. Il tutto attraverso la punta più avanzata della tecnologia Sky in questo momento: la piattaforma Sky Q. Si partirà il prossimo anno in Uk e Irlanda. Poi la novità approderà in Italia, Germania e Austria. Detta così potrebbe apparire una banale intesa commerciale se non fosse che a fidanzarsi sono proprio questi due soggetti. Da una parte Sky, player che rappresenta l'operatore di pay tv più importante in Europa. Dall'altra Netflix, piattaforma con 118 milioni di abbonati in giro per il mondo, che unendo al modello di video on demand un massiccio investimento in contenuti originali – sono previsti investimenti per 8 miliardi di dollari nel 2018 – ha scompaginato le carte nell'intera industria dell'audiovisivo.
Sky si è resa protagonista anche di due ulteriori accordi. Con Open Fiber per avere una sua offerta in fibra (e partire con un'offerta da telco) nel 2019, ma soprattutto con Mediaset, in quella che va configurandosi come la madre di tutte le tregue, fra duellanti che se le sono date senza risparmiarsi in quasi 20 anni. In virtù dell'intesa con Mediaset, 5 canali di cinema e 4 di serie tv targati Premium saranno visibili anche sulla piattaforma satellitare Sky. Poi, fra le varie cose, da gennaio Canale 5, Rete4 e Italia 1, torneranno a essere trasmessi sulla piattaforma di Sky. La quale avrà l'obbligo di comprare la piattaforma (ma non gli abbonamenti) se Mediaset dovesse decidere, nel prossimo mese di novembre, per questa soluzione.
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