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Le grandi fonderie del secolo scorso, un gasometro in disuso di un vecchio impianto dell’Amga e la prima pressa dell’ Ansaldo (funzionante fino al 1988) installata nel piazzale dell’Ikea. Dietro i finestrini del bus 63 scorre la storia industriale di Genova. Si inseguono insediamenti produttivi e commerciali fino all’area verde di Campi: 7 ettari di bosco alla fermata dell’autobus.
Varcando i cancelli di corso Perrone, dal civico 38 al 46, si entra nell’Orto Collettivo più grande d’Europa.
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L’orto più grande d’Europa in un bosco abbandonato
Prima era solo una boscaglia in stato di abbandono, con alberatura fuori sagoma, a rischio di smottamenti per le forti pendenze. Proprietaria una società della famiglia Lavazza, la Jonica Srl., che ha concesso l’area in comodato d’uso gratuito: un progetto di ingegneria naturale (e di innovazione sociale) l’ha trasformata in un terreno coltivato, terrazzato, lavorabile in posizione eretta. Si procede gradualmente. Grandi bancali a sezione triangolare, raddoppiano la superficie fruibile. E trattengono le acque, realizzando una canalizzazione naturale.
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Sui terreni in pendenza i più bravi sono gli skipper
Finocchi, carote, bietole, spinaci crescono insieme: vietate le monocolture e gli antiparassitari. Si applicano i principi della permacultura. “Qui le coltivazioni non sono biologiche ma na-tu-ra-li” scandisce Andrea Pescino, segretario del Comitato4valli, associazione di coltivatori e allevatori che comprende oltre 2200 iscritti. E’ lui che ha concepito l’idea dell’Orto Collettivo e l’ha messa in pratica con il contributo di 120 soci volontari che stanno partecipando operativamente ai lavori. Tra i braccianti urbani che lo affiancano, studenti, creativi, professionisti di tutte le età. “Molti gli skipper, i più bravi a lavorare con le corde nelle zone scoscese”. Tutti, comunque, cittadini pronti a ricongiungersi con la natura, in una zona che originariamente vantava frutteti e filari di Bianchetta genovese. Centinaia in lista d’attesa.
Un progetto di ingegneria naturale
“Gli alberi tagliati a un metro da terra restano ancorati alle radici e fungono da appoggio ai rami primari della pianta abbattuta. Ramaglia e fogliame costituiscono invece il tappeto morbido del terrazzamento”, sintetizza Pescino. Chi lavora all’ Ortocollettivo, nel proprio tempo libero, riceve istruzioni particolareggiate: nel manifesto dell’associazione un intero capitolo è dedicato alla modalità esecutiva. Indicato ogni passaggio e anche gli attrezzi per le diverse lavorazioni. Nessuno è assegnatario di singole porzioni di terreno. Si lavora per tutti, seguendo il calendario degli interventi. Poi si divide il raccolto.
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Il lavoro agricolo si paga in Šcec
All’orto urbano le prestazioni vengono ripagate in Šcec, moneta complementare distribuita (gratuitamente) dall’associazione Arcipelago. Un’ora equivale a 7,5 Šcec (1 Šcec = 1 euro). Si tratta di un buono sconto circolare che vale all’interno della rete di commercianti, produttori, artigiani, professionisti del territorio che aderiscono al sistema (circa 130 attività a Genova). E’ un modo per sostenere l’economia locale. “Noi siamo antitetici alla Gdo – tiene a precisare Pescino – al petrolio utilizzato per il trasporto e le confezioni dei prodotti alimentari, oltre a tutti quei progetti dispendiosi sulle filiere corte che non si realizzano mai”.
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Un borgo ligure sugli alberi
Presto l’Orto Collettivo diventerà un’impresa agricola. All’insegna dell’etica, dell’ecologia e della solidarietà. Della qualità e del riciclo. “Al termine di questa fase faticosa, dovuta alla realizzazione dei terrazzamenti – spiega Pescino – potremo rispondere alle tante richieste di adesione. Anche quelle che ci arrivano da persone svantaggiate. Sono appena partiti i corsi di permacultura per i migranti in attesa di regolarizzazione, gli incontri con bambini autistici, le lezioni di educazione alimentare per gli sportivi. Stiamo completando la realizzazione di una grande cucina per condividere a tavola il raccolto e svilupperemo il progetto di un borgo sugli alberi dove vivere e accogliere i turisti. Poi magari un auditorium e un asilo nel bosco. L’obiettivo? Raggiungere la sovranità totale: alimentare, monetaria, energetica, sociale”.
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