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Angelo Gaja senza rete: se non fossi il Re del Barbaresco...

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Vino

Angelo Gaja senza rete: se non fossi il Re del Barbaresco...

Angelo Gaja, lei chi si crede di essere?

A quelli che mi vogliono RE del Barbaresco rispondo che non sono fatto per avere dei sudditi, e poi la monarchia, ma dai! Possibile che non basti essere Gaja? Un cognome corto, gioioso, facile da ricordare, con quella J che non è un vezzo, non abbiamo pagato per averla, è proprio nostra.

Lei è noto, in Italia e all’estero, come il re del Barbaresco. Se fosse astemio, sarebbe il re delle acque minerali?

E dai con la monarchia. Presidente mi piacerebbe assai più.  Presidente della Lurisia, al posto di Farinetti (che ne è proprietario), se fosse lui a propormelo direi di sì. Dicono che l’acqua diventerà più preziosa del vino, perché soddisfa una necessità. Il Barbaresco Gaja è lusso, il quale comincia là dove finisce la necessità. Tenere i piedi in due scarpe non mi spiacerebbe.

Oltre che a Barbaresco e a La Morra, lei fa vino anche in Toscana, a Bolgheri e a Montalcino. Sembra le sia mancato il coraggio di spingersi più a Sud. Ad esempio in Molise, fare i conti con terroir e problemi diversi dai consueti, magari con gente dalla testa più dura della sua, creare posti di lavoro al meridione. Un uomo come lei, di grande cultura e forte personalità, che ama le sfide…  

Riconosco di avere fatto a Bolgheri (cantina Cà Marcanda)  ed a Montalcino (cantina Pieve S. Restituita)  una scelta di opportunità. Montalcino e Bolgheri hanno originato una Docg ed una Doc che godono già sui mercati esteri di grande apprezzamento, grazie alla costruzione di domanda che validissimi produttori, molto prima del mio arrivo, avevano saputo avviare. Ho consapevolezza arrivando in quei due luoghi sacri del vino toscano di accingermi a raccogliere fiori in un giardino che non avevo coltivato. Avverto là di dover pagare un debito di riconoscenza. Perché non Molise? Perché nel sentirmi  fortemente debitore nei confronti di coloro che avevano costruito la  fortuna di quei due luoghi toscani, mi sprona al massimo impegno, a fare di più. E mi consente di non essere subito spinto sotto la luce dei riflettori, ma di lavorare con tranquillità apprendendo  cultura e componenti del genius loci, di crescere nel tempo senza fretta.

“Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna”. Mica vorrà sfatarci il detto, vero?

Bei tempi quelli, una volta era così;  non lo è adesso.  Ad una grande donna oggi non basta neppure più stare a fianco, vuole proprio stargli davanti.

All’Antica Torre, trattoria in Barbaresco a lei cara, è solito mangiare gallina bollita. Quando va all’estero, il profilo culinario è grosso modo questo o si concede maggiore sostanza?

All’estero ci vado anche molto per imparare. Nei viaggi di lavoro non è che si impari molto, perché raccolgo principalmente conoscenza degli aeroporti, taxi, ristoranti ed alberghi … Ma di domande alle persone che intercetto ne pongo  molte, anche al di fuori del mio lavoro. Non ho perenne  nostalgia della gallina lessa o degli spaghetti-pomodoro-basilico. Quando sono all’estero la curiosità è di avvicinarmi alla loro cucina, non spericolatamente, ma anche senza eccesiva cautela.

Un bianco sotto i 20 euro, un rosso sotto i 25. Un buon numero di bottiglie, senza andare a scapito della qualità, per un pubblico giovane, che non può spendere molto (ma che intanto comincerebbe a bere Gaja…). Nessun tipo di affinamento in legno, così abbattiamo i costi. Comunicazione e marketing mirati al progetto. Ha mai pensato a qualcosa del genere? Non ci risponda che in questo modo snaturerebbe la sua filosofia aziendale, che non è la sua fascia di prezzo…

E’ una estensione della gamma di produzione che gli importatori mi hanno sempre sollecitato, che il mercato richiedeva. Resistere, resistere, resistere: lo voleva mio padre, lo esigeva il nostro modo di lavorare, Da “artigiani”. Non ho la stoffa del grande imprenditore, mi accontento di fare bene quello che so  fare.

Un salto in Franciacorta o altrove. Noi la vedremmo bene una “bollicina” targata Gaja. Peraltro lei è sempre così… spumeggiante!

Non ho la cultura delle bollicine, mi manca proprio. Se andassi in Franciacorta sarebbe un fiasco, tanto vale restare in Toscana cercando là di produrre dei vini originali, autentici. A mantenermi su di giri provvede il Barbaresco Gaja.

“Avrei voluto farlo io”. Suvvia, quante volte l’ha pensato al cospetto di un bel vino? Qualche nome? 

Non sono il solo a guardare con grande ammirazione al Sassicaia, il più nobile dei vini italiani, lui parla veramente toscano, senza inflessioni modaiole bordolesi/di gusto internazionale. C’erano quelli che quando ero arrivato a Bolgheri mi suggerivano di chiamare la nuova cantina “SassiGaja”.  Orrore! Nonostante la mia finale in “aja” sia storica e non ammicchi al mercato ho voluto evitare ogni confusione, così la cantina di Bolgheri l’ho chiamata Cà Marcanda.  Il progetto è stato dell’architetto Giovanni Bo, tutto suo, io non misi lingua. Ca’ Marcanda è la prima cantina italiana costruita in pianura, ricoperta di terra per tre quarti dei lati e vestita di lussureggiante vegetazione. Non esibisce, ma si nasconde. Ha grande rispetto dell’identità del luogo, un omaggio a Bolgheri, ha fatto scuola.

Ci convinca che lei, oltre a parlare, sa anche ascoltare. Qualche esempio andando indietro negli anni…

Mi pongo in ascolto delle persone che sanno, come imparare altrimenti? Ma guardo con curiosità anche ai mena-torrone, a quelli che fanno il gioco delle tre carte: da distanza di sicurezza però, per non lasciarmi coinvolgere. A ben guardare, qualcosa da imparare ci può essere anche da loro. E’ stato mio padre ad insegnarmi la tolleranza.

Emozione. Passione. Competenza. Lungimiranza. Una sfida. Angelo Gaja, che cos’è il vino per chi lo fa? 

E’ lo strumento che consente di esprimere personalità, visione, storia di famiglia, sense of humor, anima dei luoghi (i tedeschi la chiamano Heimat), senso da rivelare (i giapponesi lo chiamano Umami), passato e futuro, gratitudine, accoglienza ….  il tutto attraverso un messaggero straordinario che è la bottiglia, con l’etichetta a riportare Gaja in caratteri più che visibili, ed il vino in essa contenuta da bersi in compagnia, a costruire relazioni sociali, a creare condivisione. Non sono stato io a decidere cosa fare nella vita,  era stato mio padre ad impormelo, la scelta non poteva essere più felice.

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