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Birra: quasi un sorso su due se lo beve il Fisco

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Birra: quasi un sorso su due se lo beve il Fisco

Luci e ombre per il mercato italiano della birra. L’Annual Report di Assobirra – a consuntivo del 2014 – dice che da un lato il consumo si è attestato su livelli sostanzialmente “piatti” (confermando il trend degli ultimi 10 anni) e dall’altro la produzione è in crescita del +2% rispetto al 2013 (per un totale di 13.521.000 ettolitri prodotti). E’ andata bene per l’export, tornato a crescere del 3,5% (per un totale di 1.995.000 ettolitri esportati), grazie anche all’importante ruolo del mercato Ue che ha assorbito 1,67 milioni di ettolitri (pari al 76,2% del totale). Ma al tempo stesso le importazioni di birra non hanno registrato scostamenti significativi rispetto ai due anni precedenti, attestandosi sull’elevato valore di 6.203.000 ettolitri (-0,2% rispetto al 2013 e +0,8% sul 2012).

In questo quadro, l’Italia resta il decimo produttore di birra in Europa, nettamente staccato dai Paesi in testa alla graduatoria (Germania, Regno Unito e Polonia), ma comunque davanti a Paesi di consolidata tradizione birraria come Austria, Danimarca e Irlanda. Molto bene invece la produzione di malto, che come sempre viene interamente assorbita dall’industria italiana, che ha sfiorato la soglia dei 700 mila quintali (+3,8%).

«Ancora una volta – spiega Alberto Frausin, presidente AssoBirra, commentando i dati – sia per la crisi economica che per la sempre crescente pressione fiscale, i consumi non si muovono. Eppure, il settore birrario continua a produrre ricchezza, occupazione e imprenditorialità, generando un valore aggiunto complessivo pari a circa 3,2 miliardi di euro (ndr, di cui 2,4 provenienti dalla sola ospitalità) e portando nelle casse dello Stato circa 4 miliardi di euro tra accise, Iva, imposte sui redditi e sui salari, contributi sociali nel settore birrario e proveniente da settori collegati. Il forte aumento delle accise (+30% in 15 mesi), però, ha limitato la capacità di investimento delle aziende del settore, che negli ultimi mesi hanno visto calare il numero di nuove aperture di birrifici, ostacolando anche la creazione di nuovi posti di lavoro».

Italia ultima in Europa per consumo pro-capite

Tornando ai consumi, restano invariati in termini di pro-capite, pari a 29,2 litri annui, un trend che dura da almeno dieci anni: nel 2005 era di 29,9 litri, saliti a 30,3 nel 2006 e a 31,1 nel 2007. Guardando oltre il confine nazionale, l’Italia resta all’ultimo posto della classifica dei consumi in Europa, con un valore pari a meno della metà della media Ue e da 3 a 5 volte inferiore a quello dei Paesi in testa alla graduatoria, come Repubblica Ceca, Germania, Austria, Irlanda. «Quello a cui stiamo assistendo – afferma Filippo Terzaghi, direttore di AssoBirra – è uno spostamento da parte dei consumatori verso i prodotti più economici: rispetto a 5 anni fa il settore più penalizzato risulta quello Premium (diminuito del -20%), mentre quello con la crescita più significativa è il Private Label con +64%. Infine, stabile si è mostrato il Main Stream, che rappresenta da solo la metà dei consumi totali. A questo fenomeno si deve poi aggiungere un altro aspetto da sottolineare, quello relativo alla forte pressione promozionale sulla birra, che nel 2014 ha superato il 44% contro il 28,5% medio dei prodotti di largo consumo».

L’insostenibile peso delle accise

Ma – inutile girarci intorno – la vera anomalia italiana è rappresentata dalle accise sulla birra. Fra il 1° gennaio 2003 e il 1° gennaio 2015 le accise sul prodotto sono più che raddoppiate, segnando un +117%, pari ad uno degli incrementi fra i più alti d’Europa. Se alle accise, poi, si aggiunge l’Iva, salita nello stesso periodo dal 20% al 22%, il carico fiscale sulla birra risulta aumentato di oltre il 120%.  Gli aumenti delle accise hanno subito una forte accelerazione a partire dall’ottobre 2013, con l’entrata in vigore di due decreti legge in materia di beni culturali e di istruzione che hanno disposto l’aumento delle accise sulle bevande alcoliche già soggette a questa imposta, come copertura economica di alcune voci di spesa. Il risultato? «Oggi su una birra da 66 cl, il formato più venduto in Italia), comprata al supermercato al prezzo di 1 euro, il consumatore paga 46 centesimi di tasse fra accise e Iva; in altre parole, quasi un sorso su due se lo beve il Fisco. – chiude Terzaghi -. L’Italia su questo rappresenta un’anomalia, che provoca una serie di effetti negativi sul settore birrario e su tutta la sua vasta filiera». 

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