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Cento anni fa l'attentato all'arciduca Francesco Ferdinando: ecco…

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Cento anni fa l'attentato all'arciduca Francesco Ferdinando: ecco cosa aveva mangiato la sera prima

L’ultima cena di Franz Ferdinand, erede al trono di Austria-Ungheria, e di sua moglie Sophie Chotek, si tenne il 27 giugno 1914 nell’hotel Bosna, di Ilidža, oggi un sobborgo di Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina (l’hotel esiste ancora, ribattezzato Vienna). Il giorno successivo la coppia arciducale sarebbe stata uccisa dalla pistola di Gavrilo Princip, e avrebbe avuto il via l’infernale meccanismo che avrebbe portato alla Prima guerra mondiale, ma questa storia è ben conosciuta.

Molto meno noto, invece, è quanto successe la sera prima. Grazie allo storico Roberto Coaloa, autore di “Franz Ferdinand. Da Mayerling a Sarajevo” (Parallelo 45) e all’archivio conservato nel castello di Artstetten, nella Bassa Austria, possiamo apprendere quale sia stato il menù di quel banchetto che sarebbe stato l’ultimo.

Un menù francese da dieci portate

La tavola dell’albergo Bosna era stata apparecchiata con quarantun coperti, per una cena in onore dei notabili della Bosnia. Il menù, ovviamente scritto in francese, prevedeva dieci portate. Eccole: Potage régence, Soufflés délicieux, Blanquettes de truites a la gelée, Poulard de Styrie, Salade, Compote, Aspereges aux branches, Sorbet, Piece de boeuf et d’agneau, Creme aux ananas en surprise.

Accanto ai piatti erano indicati i vini che li accompagnavano: Madera secco, Château Léoville (un grand cru bordolese), Forster Langenmorgen (un riesling austriaco), Pommery Gréno (champagne), Tokajer Szamorodner (tokaj ungherese), Žilavka Ausbruch (žilavka erzegovese).

Quel che salta subito all’occhio di questo menù ufficiale è che non c’era alcuna concessione alla cucina locale. Oggi sarebbe inconcepibile un pasto senza un qualche assaggio dei cibi tipici del luogo in cui ci si trova. Ma come si vede non c’era ombra di carne macinata alla griglia (ćevapčići e pljeskavica), che in genere si mangia accompagnata da una salsa di peperoni e melanzane (ajvar) e da un formaggio molle spalmabile (kajmak). Il territorio è invece presente attraverso il vino: žilavka, un vitigno autoctono dell’Erzegovina, ancor oggi coltivato nella zona di Mostar; i produttori del tempo erano i fratelli Đorđe e Hristo Jelačić.

L’impanatura, tradizione austriaca dal Settecento

Viene portata in tavola una tipicità austriaca: pollo della Stiria. Si tratta di una specie piuttosto pregiata (Altsteirer-Huhn), ancora oggi apprezzata e presente nella gastronomia mitteleuropea. Non sappiamo come sia stato cucinato questo pollo, ma possiamo azzardare che fosse impanato e fritto. Le tavole di fine Ottocento-primi Novecento, erano sempre caratterizzate da quella che Pellegrino Artusi aveva definito «la trinità del fritto, del bollito e dell’arrosto». D’altra parte l’impanatura ha in Austria una tradizione che risale all’inizio del Settecento (forse un modo come un altro per riciclare pane vecchio): si è cominciato a impanare verdure, cervella, poi pollo e infine le cotolette, da cui deriva la Wiener Schnitzel. Nel menù il pollo si accompagna a insalata e composta e chi ha qualche confidenza con Vienna e dintorni sa che il fritto viene spessissimo servito con un po’ di marmellata di ribes o mirtilli. Se il pollo era davvero fritto è probabile che il manzo e l’agnello rappresentassero gli altri due aspetti della “trinità”. Nel menù è scritto «pezzo di manzo», quindi è possibile che fosse bollito, e l’agnello poteva essere “braten”, parola tedesca che noi traduciamo abbastanza impropriamente con “arrosto”, ma che spesso corrisponde a carne scottata in tegame e poi cotta con verdure e sugo. Ai nostri occhi si avvicina più a uno stufato che a un arrosto.

L’ultimo cognac di Franz Ferdinand

Non mancavano il pesce (trota in gelatina), le verdure (asparagi), i formaggi e un tocco di esotico come l’ananas. Il sorbetto – molto probabile fosse di limone – serviva a ripulire il palato tra una portata e l’altra (in questo caso non separa il pesce dalla carne, come in genere avveniva, ma le carni fra loro), mentre la cena si chiudeva con gelati e dolci, questi ultimi non sappiamo quali fossero.

Roberto Coaloa spiega che la serata si concluse tra pochi intimi di Franz Ferdinand, con un bicchiere di cognac in mano, l’ultimo. L’arciduca ereditario trascorse le sue ultime ore di vita in compagnia di Oskar Potiorek, generale e governatore della Bosnia; Carl von Bardolff, feldmaresciallo (in seguito sarebbe diventato scrittore nonché capo dei nazisti austriaci); Karl von Rumerskirch, capo della cancelleria militare dell’erede al trono; Andreas von Morsey, parlamentare.

L’hotel Bosna, ieri…

Il suo piatto preferito? Minestrone

È molto probabile che Franz Ferdinand abbia apprezzato poco del menù: era un mangiatore parco, come ricordava il suo cuoco personale, il francese Robert Doré che si era specializzato a Parigi. Sottolinea Coaloa: «1902, lui e suo e suo fratello Adolf entrarono al servizio dell’arciduca, nel palazzo del Belvedere. Robert aveva lavorato prima dal conte Esterhazy. Nel 1911 sposò la tata dei tre figli di Franz Ferdinand e Sophie, Marie Schack e restò al servizio di Franz Ferdinand fino al 1914. Durante la Prima guerra mondiale fu cuoco reggimentale. Nel dopoguerra tornò al servizio di due figli di Franz Ferdinand, principi Hohenberg, Ernst e Max». Quando non era costretto da incombenze di stato a banchettare, l’arciduca mangiava un solo piatto e amava il minestrone. Chiudeva i pasti con un dessert o un po’ di frutta, beveva un po’ di vino bianco o una birra ghiacciata. Non mangiava mai antipasti, né beveva caffè.

D’altra parte neanche suo zio, l’imperatore Francesco Giuseppe, amava particolarmente la buona cucina. Per quasi tutta la sua vita, la sera cenava con il Tafelspitz, ovvero un bollito di punta di petto di manzo. Lo si trova ancor oggi, preparato più o meno nello stesso modo, nel ristorante dell’hotel Sacher, a Vienna.

L’imperatore, sua moglie Elisabetta (ossessionata dalla magrezza, si nutriva di spremute d’arance e succo di bistecche), il nipote  Franz Ferdinand, erano poco in linea con le tradizioni gastronomiche viennesi. La capitale imperiale era considerata una delle città dove si mangiava meglio in Europa. Il riconoscimento le venne addirittura da uno scrittore francese, Jean Charles:  «Non esiste luogo dove si mangi bene come a Vienna. Altrove sanno cucinare meglio l’uno o l’altro piatto, ma nel complesso soltanto qui provvedono così egregiamente alla felicità domestica dello stomaco».

…e oggi

I coltelli d’argento rubati al Congresso di Vienna

I banchetti imperiali, che di norma si tenevano alla Hofburg, in centro a Vienna, anche se Francesco Giuseppe preferiva risiedere a Schönbrunn, la reggia estiva, erano assolutamente memorabili. Ce li descrive Roberto Coaloa: «La tavola regale, di almeno quaranta metri, era favolosa, illuminata sfarzosamente. La sala era tappezzata con i più ricchi gobelins, guarnita di piante tropicali delle serre del parco di Schönbrunn, e offriva una visione incantevole, a volte quasi esotica. La tovaglia di prezioso tessuto era adorna coi fiori più rari e con alzate d’oro di valore inestimabile; servizi bellissimi d’oro e d’argento, di solito controllati dagli occhi vigili della servitù (era rimasto ben vivo il ricordo del fatto che durante il congresso di Vienna, in occasione di un ballo in maschera a corte sparirono, insieme con il contenuto dei piatti freddi, anche duemilacinquecento dei diecimila coltelli d’argento con la corona imperiale incisa sull’impugnatura). La tavole era completata da finissime porcellane e pesanti cristalli di Boemia intagliati artisticamente».

«Le dame indossavano abiti da ballo elegantissimi e costosi – sottolinea ancora Coaloa – con collane e diademi in perle e brillanti; gli uomini erano, se militari in uniforme di gala, se civili in frac con decorazioni. In breve: tutto era luccicante e risplendente e offriva un colpo d’occhio indimenticabile. La servitù in livrea di corte, rossa, ricamata d’oro, con panciotto, calzoncini e calze bianche, scarpe nere e parrucche incipriate serviva inappuntabilmente una lunga lista di cibi e bevande (in queste occasioni si contavano dalle quindici alle diciotto portate). L’imperatore assaggiava quasi tutto, a eccezione dei piatti di carne fredda. Ma era molto parco e si serviva più abbondantemente soltanto di pochi cibi prediletti, come gli asparagi, i gamberi lessati, la carne di manzo, che la tavola di corte offriva in grandi fette così tenere e morbide che l’imperatore le tagliava con la sola forchetta. In quanto alle bevande Francesco Giuseppe prendeva prima un bicchiere di birra bavarese, poi un calice di vino austriaco, bianco e leggero, e infine lo champagne. Quando era stato versato nelle coppe, si poteva sempre osservare come l’imperatore vi inzuppasse uno o due biscotti oblunghi e leggeri da tavola e con quanto piacere li gustasse. Il sovrano non beveva mai caffè e liquori, ma aspettava pazientemente fino a che gli invitati li avessero sorbiti. Il fasto della reggia asburgica era tale che Federico Guglielmo IV, re di Prussia, affermò: «Ogni qualvolta sono ospite alla corte di Vienna mi pare d’essere un parvenù».

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