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Cristian Torsiello, ovvero la forza irresistibile dei sogni

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Storie di eccellenza

Cristian Torsiello, ovvero la forza irresistibile dei sogni

Da Niko Romito mi sono formato, sono stato con lui sette anni, i primi della mia carriera, quelli fondamentali. Nino Di Costanzo mi ha insegnato ad essere rigoroso, preciso ed organizzato. Gennaro Esposito per me ha rappresentato l’espressione della praticità, della concretezza e della schiettezza, sia nella vita, sia per ciò che concerne i sapori. Mauro Uliassi mi ha regalato un pizzico di estrosità, quella che non guasta mai, soprattutto nel nostro lavoro. Valeria Piccini mi ha preso per mano sottolinenando l’importanza dei valori, del gruppo e della famiglia intesa dal punto di vista professionale, di lei posso dire che è stata la mia “mamma in cucina”.

Lui è Cristian Torsiello. Nasce nel 1983, l’ Italia del calcio ha già vinto da un anno il suo terzo mondiale, quello spagnolo, lui, invece, ha un futuro tutto ancora da costruire.

A novembre dello scorso anno è arrivata la prima stella della Michelin. Che valore ha per te?

Dopo tanti sacrifici, il riconoscimento della Guida francese credo sia servito più a noi stessi che a tutto ciò che ci circonda. Quando io e mio fratello Tomas nel 2011 abbiamo deciso di aprire il ristorante qui a Valva, nel nostro piccolo paesino in provincia di Salerno, in molti hanno pensato che fossimo un po’ folli. Millecinquecento anime, fuori da ogni rotta. Non era un caso che prima di noi nel nostro paese non ci fosse alcun ristorante. Eppure dopo tanti anni a girare l’Italia, a fare esperienze in tanti locali importanti, noi avevamo voglia di tornare alle origini, di costruire qualcosa di nostro. L’ultima esperienza fatta a Montemerano da Valeria Piccini, il cui habitat naturale è simile al nostro, mi ha fatto comprendere che le scommesse si possono vincere anche dove sembra difficile, a molti impossibile. Bisogna credere in se stessi e nelle proprie possibilità e soprattutto è necessario saper stringere i denti, a volte la cinghia e tirare avanti anche quando le difficoltà sembrano insormontabili. C’era qualcos’altro, però, a cui non potevamo affatto rinunciare: io e mio fratello sapevamo di poter contare su noi stessi, ma non potevamo rinunciare all’appoggio della nostra famiglia e la nostra famiglia era a Valva. Quindi non avevamo alcuna alternativa.

Oggi le cose sono cambiate?

Solo parzialmente. Qualcuno grazie anche alle luci che si sono accese sul nostro ristorante comincia a venirci a cercare, ma siamo ancora ben lontani da credere di aver cambiato rotta. Come spesso mi diceva Niko, dobbiamo abituarci a saper vivere in perenne “regime di crisi”. Se gli inizi sono stati complicatissimi, oggi, insomma, non navighiamo nell’oro. Ma avevamo le idee chiare, anche in partenza. E le abbiamo tutt’ora. I miei genitori ci hanno aiutato in tutto, persino a buttare giù i muri quando abbiamo ristrutturato il locale, a sistemare le piastrelle, i pavimenti e gli impianti. Io e Tomas ci siamo guardati in faccia, lui cresciuto a gestire la sala, io impegnato in cucina: eravamo più che sufficienti per cominciare. Dalla nostra parte abbiamo avuto anche nostra sorella che ha cominciato immediatamente ad unirsi al nostro progetto.

Ma il confronto con la realtà locale come lo avete superato?

Con il lavoro e la passione. Siamo a due passi dalla costa ma non siamo sulla costa. La gente, dalle nostre parti preferisce i ristoranti in riva al mare. E poi ci sono le sagre. Nel nostro territorio il confronto appariva impari. Ce n’è una ogni giorno, da qualche parte qui attorno. Per quattro soldi ti offrono da mangiare e da bere: in regime di crisi non è facile competere con avversari del genere. E’ per questo che fin dall’inizio abbiamo cercato di differenziare la nostra offerta. Un servizio migliore, una cucina che si discostava da quella della nostra zona, dai prodotti offerti proprio nelle sagre. Qualcuno pensava che la nostra fosse presunzione che noi, pur essendo dei bravi ragazzi, così come ci hanno sempre inquadrato al nostro paese, non potessimo avere i numeri per costruire la nostra strada in questo settore. Ma noi sapevamo che quella che avevamo sarebbe stata la nostra unica vera occasione e non potevamo permetterci di buttarla via. Avevamo investito nel progetto dell’Osteria Arbustico tutti i nostri risparmi. Avevamo impegnato tutte le nostre risorse e quelle della nostra famiglia: se avessimo fallito non avremmo avuto un’altra opportunità. Per questo non ci hanno spaventato i sacrifici e le rinunce. Vivevamo al ristorante senza alcun dipendente, perché non potevamo permetterceli. Ma alla fine qualcuno ha cominciato ad accorgersi di noi. Alcuni clienti si sono fatti coinvolgere dalla nostra passione e dal gusto dei nostri piatti più semplici ed il nostro futuro ha preso un indirizzo diverso. Almeno è questo che ci auguriamo.

Il futuro è ancora tutto da costruire, il passato invece su quali basi è stato edificato?

Quando stavo terminando le scuole medie gli insegnati di allora mi fecero capire che avrei fatto meglio ad indirizzare le mie scelte future verso istituti professionali. Era il 1997. In quegli anni c’era il boom delle scuole alberghiere. Dalle mie parti, però, non ce n’erano, così scegliemmo quella di Roccaraso, in Abruzzo. Non era lontanissimo da casa, ed in più mi offriva l’opportunità di poter alloggiare nella scuola stessa e di vivere in un contesto turistico a forte vocazione alberghiera all’interno del quale speravo di poter fare esperienza e di trovare magari sbocchi professionali futuri. Ricordo quei primi anni a Roccaraso con particolare nostalgia. E’ lì che ho imparato a “soffrire” ed è forse per questo, per le esperienze fatte allora che capisco poco la fragilità dei ragazzi di oggi. Nonostante non fossi lontano da casa i duecento chilometri che mi separavano dai miei si sentivano eccome, soprattutto alla mia età. Eppure io ed i miei compagni di allora non ci perdevamo d’animo. Studiavamo e dopo lo studio andavamo a bussare alla porta di ogni albergo e ristorante della zona nella speranza di trovare qualcosa da fare. Ho lavato i piatti, tagliato l’insalata, pelato le patate e pulito la frutta. Ho spazzato e lavato il pavimento. Poi nel 2000 l’incontro con Niko Romito ha cambiato la mia vita. Sono rimasto con lui per sette anni, fino a quando non è cominciata la sua avventura a Casadonna. Rileggendo qualche mese fa il libro che racconta la sua storia (Apparentemente Semplice  edizioni Sperling e Kupfer ndr.) ho ritrovato descritti tanti momenti che appartenevano anche alla mia. In quegli anni ho avuto modo di entrare a contatto con il mondo della cucina che conta, quello che dai primi anni alla scuola alberghiera, mi ha subito affascinato. Ricordo in particolare una cena da Masciarelli. L’incontro con Carlin Petrini, Antonio Santini. Per la prima volta vedevo in carne ed ossa i mostri sacri della gastronomia italiana.

E da quegli anni Cristian Torsiello quanto è cambiato?

Credo che sia l’esperienza a farci diventare ciò che siamo. Come ho detto all’inizio, ho avuto la fortuna di avere grandi maestri. Il mio cammino ha incrociato il loro ed in qualche modo le mie traiettorie sono cambiate. Tuttavia credo di aver mantenuto anche una mia forte identità, ho cercato di prendere tanto di buono da ciascuno di loro, aggiungendo a ciò che stava maturando dentro di me, facendo in modo che la loro esperienza diventasse parte della mia.

La stella arrivata a novembre scorso ha cambiato il tuo modo di vedere le cose?

Non potrebbe. Mi ha dato, ha dato a me, a mio fratello, alla mia famiglia la consapevolezza che gli sforzi che facciamo possono essere ripagati. Io sono quello che sono, non è una stella che può cambiarmi. Ma quella stella può cambiare i nostri orizzonti ed allora se i nostri orizzonti cambiano in positivo, è a quella stella che ci aggrappiamo.

Io sono come la mia cucina, concreto, rispettoso delle esigenze del luogo, fatta di prodotti semplici e di poche sperimentazioni. Spesso mi chiedono quali sono i sogni chiusi nel mio cassetto. Rispondo che più che di sogni mi piace vivere di obiettivi. Certo parlare di sogni ha un non so che di romantico, ma nella nostra condizione è meglio stare svegli, vigili e ad occhi aperti. Solo così saremo in grado di costruire un domani migliore dell’oggi che stiamo vivendo.

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