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Don Alfonso: nel piatto mettiamo la nostra terra

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Storie di eccellenza

Don Alfonso: nel piatto mettiamo la nostra terra

«Nulla si costruisce di importante senza un pizzico di follia. Stay hungry stay foolish diceva Steve Jobs, il fondatore di Apple. Noi però siamo andati oltre. Quando racconto il nostro percorso, non posso fare a meno di sottolineare come, nella nostra storia, ci siano stati tre momenti che l’hanno contrassegnata in maniera molto forte. Questi tre momenti hanno rappresentato dei passaggi di stato, delle vere rivoluzioni, tre momenti che qualcuno potrebbe definire di follia, di pura follia, che, però, ci hanno portato ad essere quello che siamo oggi e che ci stanno proiettando con forza verso quella che sarà il nostro domani».

Ernesto Iaccarino comincia così il suo racconto. Lui figlio del grande Alfonso, ne sta raccogliendo l’eredità nella cucina del loro ristorante, il “Don Alfonso”, a Sant’Agata sui Due Golfi. Un’azienda a conduzione familiare: Ernesto e Mario, papà Alfonso e mamma Livia. Nata nel cuore della Penisola Sorrentina, uno dei posti più belli della nostra Penisola, l’azienda negli ultimi anni si è trasformata in un’impresa di carattere internazionale, con esperienze, consulenze ed attività che stanno portando il marchio “Don Alfonso” in giro per il mondo.
Ernesto è cresciuto al “Don Alfonso” e lì è tornato dopo aver completato gli studi di Economia e Commercio, dopo aver provato a fare esperienze e percorsi diversi. La sua è stata una sorta di “chiamata”. La cucina, prima della sala; i fornelli e la trasformazione della materia prima, sopra ogni cosa.

La svolta “mediterranea”

«La prima grande follia riguarda le scelte fatte in termini di cucina da mio padre negli anni Settanta. Allora i grandi ristoranti erano omologati ai canoni della cucina francese che condizionava quella di tutto il mondo anche in termini di prodotti. Erano i tempi delle ostriche, del caviale e delle escargot. Non si era un grande ristorante se non si andava nella direzione tracciata dai transalpini. Ed invece mio padre volle seguire la sua strada: l’idea fu di mettere al centro del progetto gastronomico i prodotti della dieta mediterranea, i prodotti della nostra terra. Materie prime straordinarie: i legumi, la pasta, i pesci poveri come sgombri, tonni e ricciole. La sua fu una vera rivoluzione, un momento di rottura fortissimo rispetto al passato. Oggi i risultati di quella rivoluzione sono sotto gli occhi di tutti, addirittura la dieta mediterranea ed i suoi prodotti fanno parte del patrimonio dell’Unesco. E’ un piacere vedere come ad Hong Kong a Cancun, nei nostri ristoranti, mangino i “Paccheri di Gragnano”, un piatto che proprio papà Alfonso ha riscoperto con forza e che oggi sono tra quelli più ricercati dagli asiatici che vengono a mangiare da noi.

Eppure, quello che oggi sembra scontato, allora non lo era affatto. Quando mio padre ha cominciato a fare i primi cambiamenti al menù del nostro ristorante, non tutti lo hanno apprezzato, siamo passati per un periodo di crisi profonda, i clienti, all’inizio non capivano, soprattutto quelli della nostra regione, che volevano mangiare piatti diversi da quelli che già mangiavano a casa loro. Ci prendevano per matti. In molto ci hanno abbandonato.
E’ stato un periodo difficile, che avrebbe fatto tentennare chiunque. Non mio padre, però, che è andato avanti diritto per la sua strada, una strada fatta di sacrifici, di lavoro, tanto lavoro con prodotti di altissima qualità, ma che lo rappresentavano totalmente e che lui voleva valorizzare ad ogni costo.
Il tempo, soltanto il tempo, ha dimostrato che quella fosse la scelta più giusta da fare».

E la seconda follia?

Nel ’90 abbiamo deciso di vendere una grande ed importante villa di famiglia per comprare un’azienda agricola. E’ stato un sacrificio che pochi hanno compreso. Abbiamo rinunciato a rendite ingenti, garantite nel tempo. Una vera follia economica a guardarla con gli occhi di chi non aveva la visione della mia famiglia. Oggi però abbiamo nove ettari di parco naturale a Punta Campanella. Un posto incontaminato, fuori dal mondo. E’ il nostro fiore all’occhiello. Lì produciamo il90% delle verdure e degli ortaggi che consumiamo nel nostro ristorante. E’ tutta azienda biologica che ci permette di correre nella stessa direzione in cui sta andando il mondo della nostra clientela. Oggi del biologico parlano tutti. Le persone, per fortuna aggiungo io, sono sempre più attente alla qualità di ciò che mangiano, alla qualità delle materie prime con cui vengono preparati i piatti. E noi questa scelta l’abbiamo fatta un quarto di secolo fa, perché abbiamo creduto nella nostra identità, nei prodotti della nostra terra, e per realizzare il progetto in cui credevamo abbiamo fatto scelte che gli altri non capivano. Folli, appunto, folli al punto voler mettere nei piatti la nostra storia e quella della nostra terra.

L’ultima rivoluzione riguarda l’hotel?

Proprio quella. Altro che follia. Per realizzare il nostro progetto abbiamo investito sei milioni di euro, ci siamo indebitati, forse più di quanto non avremmo dovuto fare in quel momento. Abbiamo coinvolto sei architetti diversi per realizzare la struttura che volevamo: il nostro intento era quello di innovare mantenendo inalterata l’identità del luogo, perché, anche il nostro hotel, è espressione della nostra terra.
Quella per noi è casa. E’ stata la casa di un grande poeta come Salvatore Di Giacomo, oggi è casa per coloro che vengono da noi.
Abbiamo fatto uno sforzo non indifferente, e lo abbiamo fatto in un momento di crisi, quando tutti gli altri,invece, erano più pronti a tirare i remi in barca che a puntare dritti verso il largo. Siamo convinti, però, e lo abbiamo dimostrato, che è proprio nei momenti di crisi che nascono le migliori opportunità. Noi siamo anche uomini di mare, un mare stupendo il nostro, ed è con il mare agitato che si vedono i navigatori capaci, è in quei frangenti che si fa la differenza.
Oggi quell’investimento sta dando i suoi frutti. Siamo stati inseriti nella prestigiosa catena Relais&Chateaux ed i clienti possono vivere un’esperienza unica che combina il lusso della nostra struttura con i percorsi di gusto del ristorante. Una combinazione esplosiva che è possibile cogliere solo vivendola direttamente. Non c’è foto, non c’è filmato che possa sostituire l’esperienza diretta.

Le esperienze internazionali come stanno cambiando la vostra visione?

Il mondo è in fermento e niente può frenarne la crescita. Noi nel nostro paese viviamo un momento di impasse, di difficoltà oggettive, ma possiamo ripartire alleggerendo la burocrazia e puntando sulla qualità del nostro marchio, dei nostri prodotti, della nostra terra.
Basta parlare di crisi: bisogna uscire dal torpore mentale in cui siamo precipitati. Spesso sento parlare della Cina e negli ultimi tempi ne sento parlare in termini negativi. Ma solo chi non vive quel paese può pensare che la Cina stia rallentando. Quando siamo arrivati la prima volta a Macao ci era sembrato di essere tornati indietro nel tempo, ed era solo il 2006. Ma abbiamo scelto di restare ed abbiamo fatto bene. Oggi abbiamo tantissimi clienti cinesi, non solo da loro, vengono a trovarci, anche qui a Sant’Agata dei due Golfi.
A volte adesso, quella sensazione di viaggio a ritroso nel tempo, l’abbiamo quando rientriamo in Italia. La velocità con cui il mondo sta cambiando dovrebbe farci riflettere. Noi abbiamo il kown-how, abbiamo i sogni, abbiamo la creatività, abbiamo le capacità, dobbiamo solo imparare a sfruttarle nel miglior modo possibile. Riceviamo sempre più proposte per progetti fuori dal nostro paese, anche dall’altra parte del mondo. Non mancano gli investimenti, non mancano i capitali. Ci vogliono però le idee, quelle giuste, per poter indirizzare quei capitali in progetti di successo e per realizzarli bisogna condirli con un pizzico di follia.

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