Food24

Dove a ogni pranzo e ogni cena si riscrive il romanzo infinito del Mare nostrum

  • Abbonati
  • Accedi
Storie di eccellenza

Dove a ogni pranzo e ogni cena si riscrive il romanzo infinito del Mare nostrum

Ricordate “Il mandolino del capitano Corelli”, il film con Nicolas Cage e Penelope Cruz sul massacro dei soldati italiani della divisione Acqui nell’isola greca di Cefalonia? È la copia baciata della storia d’amore tra il padre calabrese e la madre greca di Fulvio Dato, il patron della taverna Kerkira di Bagnara calabra. Una storia in cui si mescolano fughe rocambolesche in peschereccio da Corfù, l’isola ionica dove è nata la mamma di Fulvio,  devozione a Santo Spiridione, intingoli metà calabresi e metà greci elaborati da una strana brigata nel retrobottega di un vecchio pastificio, dove zie e nonne recitavano in idiomi diversi ricette calabresi e piatti veneziani in saor (Corfù fu per secoli sotto il dominio della Serenissima).

Incroci di sapori mediterranei

Taverna Kerkira è la traduzione culinaria del saggio che lo storico francese Fernand Braudel dedicò al Mediterraneo: mai come in questo luogo si percepiscono i legami indissolubili tra le isole greche, la sponda tirrenica della Calabria e la Sicilia. Una incrocio di sapori in cui sono ben allineate, come in uno spartito, l’agrodolce arabo di discendenza sicula, le spezie turche e il saor veneziano arricchito dalla salinità del Tirreno meridionale. Aromi e atmosfere che hanno sedotto i cuochi giapponesi, disciplinatamente in fila per uno stage dal guru-samurai Fulvio, un’enciclopedia vivente di storie e piatti calabro-greci, affiancato in sala dalla nipote Maria Luce.

Riabilitata la pasta dei poveri

La materia prima, povera ed essenziale, arriva più facilmente da Messina o da Acitrezza: pesce spatola, merluzzini, alalunga, gamberetti. E poi yogurt e feta recapitati direttamente da Corfù, fornitori con i quali Fulvio ingaggia dei veri corpo a corpo alla ricerca della qualità perfetta, tanto che fino agli anni 90 saltava su un aereo per verificare di persona i sistemi di lavorazione. Per l’olio extravergine è vittima di una vera ossessione: alterna tre produttori di Delianova, San Giorgio Morgeto e Rizziconi. Il suo passato da laureato in Statistica si riverbera nella ricerca della qualità e nei racconti minuziosi. Della sua Corfù ricorda l’immagine che gli si impresse nella memoria da bambino: una sequenza di cipressi che svettavano da una foresta di ulivi. Alla Calabria di oggi, aggrovigliata tra economia sommersa e ‘ndrine, preferisce quella rurale della sua giovinezza, quando i contadini riempivano le ceste di castagno di uva zibibbo coltivata a strapiombo sul mare e le versavano sulle barche che profumavano di succo d’uva e salsedine.

Ora, grazie alla politica comune europea, i castagni sono stati abbandonati e le donne  non dondolano più sotto il peso delle ceste di vimini da 40 chilogrammi. A un certo punto, fu impedita la vendita di una pasta integrale prodotta con gli scarti di farina e crusca, la struncatura, che i calabresi si arrangiarono a smerciare sotto banco.

Un inno al matriarcato

Riabilitata la pasta dei poveri, esposta a Expo 2015 come uno dei prodotti d’eccellenza della gastronomia calabrese, Fulvio Dato innalzerebbe sul podio le donne bagnarote, grandi viaggiatrici e commercianti tra il 700 e l’800. Un inno al matriarcato e alle origini della più potente famiglia siciliana, i Florio, gli Agnelli dell’800, bagnaroti purosangue che salparono alla volta di Palermo dopo il terremoto disastroso del 1783. Cominciarono da venditori di spezie e finirono per ospitare a Villa Igiea il kaiser Gugliemo e lo zar Nicola di Russia. Perderanno tutto i Florio, come quasi tutto ha perso Bagnara, tranne questo piccolo e prezioso rifugio dove a ogni pranzo e ogni cena si riscrive il romanzo infinito del Mare nostrum.

© Riproduzione riservata