Da rifiuti alimentari a oggetti di design, grazie ai funghi. E’ Mogu (fungo, in cinese), la bioplastica che fa a meno del petrolio, nata dall’unione delle due start up Mycoplast e Mycotirial, italiana la prima e olandese la seconda. Quattro giovani poco più che trentenni, Federico Maria Grati, Stefano Babbini, Natalia Piatti e Maurizio Montalti, che hanno deciso di mettere a frutto la loro laurea in ingegneria per creare bio-plastica dagli scarti di produzione alimentare.
Il progetto Mogu è uno dei sette selezionati dalla Global Social Venture Competition, il premio internazionale ideato dall’Università di Berkeley e riservato a idee imprenditoriali con forte rilevanza sociale e impatto ambientale, organizzato a Milano da Intesa Sanpaolo. Menzione speciale “per l’economia circolare”, conferita dalla Italeaf di Terni, l’acceleratore di business per imprese e startup nei settori dell’innovazione e del cleantech, che ha offerto un anno di incubazione e consulenza per il business development presso le sue strutture di Nera Montoro (Te).
Materiali al 100% compostabili
“I biopolimeri ottenuti da rifiuti agricoli e funghi – spiega Federico Maria Grati – sono stati sviluppati durante gli ultimi 10 anni e hanno trovato alcune applicazioni commerciali negli Stati Uniti, soprattutto nel campo del packaging. Il vantaggio della bio-plastica prodotta attraverso i funghi è di essere economicamente competitiva rispetto a polistirene e poly-foam. La nostra plastica Mogu ha anche un valore ambientale perché è realizzata con scarti di produzioni locali, il processo di lavorazione è totalmente naturale e avviene a freddo, il materiale ottenuto è 100% compostabile”.
Il riciclo delle biomasse di scarto
Vincente è stata proprio l’idea di stimolare un’industria a rifiuto zero. La materia prima su cui avviare la coltivazione dei funghi, infatti, può essere diversa a seconda del proprio ambito produttivo: paglia di grano o di riso, lolla di riso, segatura, fondi di caffè, bucce di pomodoro o d’uva… i funghi cresco praticamente ovunque, basta selezionare quelli adatti per riciclare in modo utile e ‘creativo’ le biomasse di scarto, che spesso rappresentano un problema ambientale e un fastidio per lo smaltimento. “Anche il processo è semplice – prosegue Grati –, poiché avviene a temperatura e pressione ambiente, in modo quasi artigianale e del tutto naturale: una volta sterilizzati gli scarti alimentari, per eliminare altri microrganismi che potrebbero entrare in competizione con il nostro fungo, si introducono le spore del micete e si lasciano crescere per una decina di giorni. Il materiale ottenuto viene tritato e stampato nella forma desiderata, poi essiccato in stufa per devitalizzare il fungo”.
Una plastica flessibile, leggera, resistente al fuoco
Ciò che si ottiene è una plastica vellutata al tatto, flessibile, leggera, resistente agli urti, all’acqua e al fuoco, poiché i funghi sono composti da chitina, lo stesso biopolimero che troviamo nell’esoscheletro di insetti, granchi e gamberetti.
Un esempio creativo di economia circolare? “Con la nostra tecnologia, le cantine possono usare gli scarti di uva per auto-prodursi gli imballaggi in cui contenere e trasportare le bottiglie di vino. In questo modo si abbattono i costi e si fa marketing verde”. Ma le applicazioni del materiale sono praticamente infinite: dalle scatole, alle stoviglie, dai materiali per l’edilizia, agli interni delle auto, fino alla cosmesi, in pratica tutto ciò che si può realizzare con la plastica, con il vantaggio di non inquinare.
“L’idea è nata dall’incontro con Maurizio Montalti, concept designer e fondatore di Officina Corpuscoli ad Amsterdam. Lui da anni realizza oggetti di design con materiali ottenuti da funghi, ispirato dagli studi del professor Han Wörsten dell’Università di Utrecht. Grazie a Montalti abbiamo iniziato a coltivare le prime tonnellate di questo materiale e produrre i primi oggetti”.
Uno stabilimento pilota per produrre 10mila pezzi l’anno
Dopo questa fase prototipizzazione, il piano industriale di Mycoplast per i prossimi cinque anni prevede la realizzazione di uno stabilimento pilota, dove si cominceranno a produrre circa 10mila pezzi all’anno. Il passo successivo sarà la vera produzione industriale, circa 1 milione di pezzi all’anno, e la vendita di licenze.
La produzione di plastica in tutto il mondo ammontava a 288 milioni di tonnellate nel 2012, ed è stato stimato che circa la metà dei rifiuti di plastica è stivato nelle discariche. Europa e Nord America rimangono destinazioni calde per la ricerca e lo sviluppo. Il mercato delle bio-plastiche crescerà infatti da circa 1,4 milioni di tonnellate di produzione annuale del 2012 a circa 6,2 milioni di tonnellate del 2017. Ancora una volta la natura ci insegna a salvaguardare il pianeta.
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