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Forst, il vero made in Italy della birra parla al femminile e profuma di Alto Adige

La prima “bionda” italiana si incontra a pochi chilometri dal confine con l’Austria, a Merano. Si chiama Forst, è nata nel 1857 da due imprenditori locali e ha macinato più di un secolo e mezzo di storia senza staccarsi dalla sua culla d’origine: l’Alto Adige, la terra che ha dato i natali «all’ultimo grande brand di birra rimasto indipendente in Italia» dopo la trafila di acquisizioni che ha fatto volare sui mercati mondiali altri colossi del luppolo made in Italy. Oggi Forst occupa il 5% del mercato nazionale, dà lavoro a 300 dipendenti e produce 700mila ettolitri di birra dalla sua fabbrica-quartier generale altoatesino. Se si parla del Gruppo nel suo complesso, bisogna aggiungere al calcolo un centinaio di lavoratori, i 200mila ettolitri della biellese Menabrea (acquisita nel 1991), l’acqua minerale Merano e Kaiserwasser e i locali con il marchio verde e alberato della Foresta sudtirolese. L’ultima creatura si chiama Spiller, una “birreria-ristorante” che fa incrociare l’atmosfera dello Stube con gusti gourmet e design accattivante.

Un’evoluzione voluta, e guidata, da mani femminili: sono tutte donne le eredi della dinastia Fuchs, la famiglia che ha acquistato  la fabbrica nel 1863, a partire dal presidente e amministratore delegato Margherita Fuchs von Mannstein.

La birra natalizia. E il legame con il territorio

La gamma di birre della fabbrica altoatesina comprende sette linee principali, più una edizione natalizia che si rinnova di anno in anno senza perdere il suo tratto distintivo: una bottiglia a forma di sifone con capienza da due litri. A metà novembre sbarcherà sul mercato l’edizione 2015, per la prima volta nella sua storia con un vetro personalizzato dallo stabilimento. Saranno a disposizioni anche fusti da 15 litri e 30 litri e Forsty, fustino “portatile” da 12,5 litri. Il prodotto è stagionale, con gradazione leggera (5,2%), aroma che richiama il luppolo e note di caramello nel gusto. È la dodicesima edizione in 12 anni, per uno dei pochi marchi rimasti ancorati al territorio.

Eppure sui mercati esteri è febbre da fusione, dopo l’acquisizione di Sab Miller da parte di Ab Inbev. «Non guardiamo quello che fanno gli altri. Abbiamo una tradizione, la conserviamo. Ci concentriamo sul nostro core business, il fusto, oltre ad aver creato un format di ristorante (Spiller, ndr) che ci permette di servire birra “come si deve” anche fuori dalla nostra zona di elezione. La nostra attenzione è solo sulla qualità» spiega al Sole 24 Ore Cellina von Mannstein, capo della comunicazione, membro del Cda e fotografa con una carriera newyorchese alle spalle.

Obiettivi? Rafforzarsi in Italia e far crescere la Menabrea

Forst occupa l’85% del mercato altoatesino e, come scritto sopra, il 5% di quello italiano. L’export ha una rilevanza modesta, anche perché l’obiettivo è rafforzarsi proprio sulla Penisola. Con la spinta di Menabrea, il marchio biellese entrato da 24 anni nell’orbita di famiglia. «È una birra adorata in Italia. Visto che è forte sarà il core della nostra crescita. Certo, l’estero è interessante ma prima diamo peso a quello che stiamo facendo qui» dice Cellina von Mannstein. Tra quello che Forst ha realizzato “qui” c’è la quinta sala di cottura dello stabilimento meranese, inaugurata nel 2011 dopo quasi un anno e mezzo di lavori. La struttura conta su una capacità produttiva di di 12 cotte al giorno, per 630 ettolitri di mosto caldo a cotta. Secondo le stime, la nuova sala permetterà di aumentare a 900mila litri la produzione su scala annua e ridurre del 47% il consumo di vapore grazie a un impianto di recupero energetico. «Il cuore della nostra produzione resta il fusto, la qualità dei fusti che vendiamo con il nostro marchio. È quello che sappiamo fare e continueremo a fare».

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