
Gnammo rilancia sul social eating e punta sulla ristorazione tradizionale, con il debutto a Torino del “Social Restaurant” al Magorabin, il ristorante “stellato” di Marcello Trentini. Come ogni innovazione, soprattutto se ha a che fare con la sharing economy, fa discutere e cambia business model in fretta. È quanto accade alla società piemontese, startup nata nell’incubatore I3p del Politecnico di Torino nel 2012 e diventata punto di riferimento in Italia per il fenomeno del social eating.
Utenti quasi quintuplicati dal 2014
La community ha all’attivo 170mila utenti – erano 36mila nel 2014 – con oltre 116mila “gnammers”, 3.600 cuochi e quasi 9mila eventi organizzati. Oggi Gnammo è già alle prese con una diversificazione dell’offerta iniziale che funziona così: gli chef Gnammo si propongono attraverso il sito-piattaforma, gli Gnammer aderiscono e pagano la propria quota sempre attraverso la società. Poi ci si incontra. Perlopiù a cena.
In estate hanno debuttato sul sito le cene in location suggestive e particolari (nei mesi scorsi Gnammo ha proposto ad esempio cene nel palazzo Madama di Torino) mentre ora la società presenta ufficialmente un format fatto su misura per la ristorazione, sotto il titolo “Social Restaurant”, sperimentato tra fine 2015 e inizio 2016 e ora entrato tra le proposte su Gnammo.it. All’inizio 15 ristoranti coinvolti, numero che sale a 30 nel mese di febbraio, al raddoppio nel mese di marzo. Con l’ambizione di diventare un vero e proprio “Food hub”, che metta insieme le esperienze social legate al cibo e alla tavola.

Alleanze a tavola
Il meccanismo comunque resta quello consolidato per le cene private: sarà possibile pranzare o cenare al ristorante con persone sconosciute e il singolo ristoratore, come un qualunque gnammer, potrà inserire sulla piattaforma la propria proposta, con menù, prezzo e posti disponibili.
«È il momento – spiega Gian Luca Ranno, uno dei tre fondatori di Gnammo insieme a Cristiano Rigon e Walter Dabbicco – di creare alleanze con i ristoratori. Proprio per ribadire che il social eating non è il nemico ma un canale alternativo per chi ama il cibo e la socialità a tavola».
Un messaggio chiaro, veicolato anche dalla scelta, a giugno, di introdurre un Codice etico per mantenere una distinzione chiara tra una attività saltuaria – il #SocialEating, appunto – e una semi imprenditoriale – come l’Home Restaurant. L’idea è di lasciare a briglie sciolte la prima e normare con razionalità la seconda.
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