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Il futuro? Marchi forti e vendite con cellulare e smart watch

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Il futuro? Marchi forti e vendite con cellulare e smart watch

Semplicità. Brand forti. Comunicazione efficace, soprattutto online. Saranno queste le parole d’ordine del vino internazionale nei prossimi dieci anni secondo Robert Joseph, guru britannico dell’enologia, in questi giorni a Verona tra i giurati del 5 Star Wines, la competizione voluta da Vinitaly International in cui sono stati testati 2.700 vini provenienti da tutto il mondo. Joseph non poteva mancare perché è colui che ha ideato l’International Wine Challenge, il concorso internazionale più prestigioso nel mondo vinicolo. A lui abbiamo chiesto come cambierà il mondo del vino nel prossimo decennio.
“Sarà un mercato che vedrà in difficoltà i piccoli produttori. A livello mondiale i grossi volumi di vendite si fanno ancora sul vino sfuso. La Francia è il maggior paese importatore di vino dalla Spagna – a quanto mi risulta l’Italia è il secondo – i francesi bevono vino spagnolo, senza saperlo. E il Pinot Grigio più venduto in Gran Bretagna, con etichetta “italiana”, in realtà è prodotto in Romania”.

Cambiano anche i gusti?

Io prevedo una forte crescita dei rosé, dei bianchi e delle bollicine. Piacciono i vini semplici, più abbordabili, basta guardare l’enorme successo del Prosecco. E i giovani amano i cosiddetti “fruit flavoured wines”, aromatizzati alla fragola o alla pesca, dai nomi facili. Negli States il vino più amato dalle nuove generazioni si chiama Barefoot (a piedi nudi, ndr) e il claim dell’azienda è “il nostro vino è libero dalla tirannia dello snobismo”.

E le etichette più strutturate e prestigiose?

Ci sarà sempre un mercato per questi vini, continueranno ad avere i loro estimatori. Ma i produttori devono fare attenzione, il mercato sta evolvendo rapidamente. Le enoteche restringeranno il numero dei fornitori. I supermercati faranno altrettanto. Questo avrà conseguenze inevitabili: in Bordeaux nell’87 c’erano 20mila Chateau, oggi sono meno di 7mila, ne chiude uno al giorno.

Come cambierà il modo di vendere il vino?

La distribuzione verrà rivoluzionata dalle vendite online. Già oggi si comincia a vederne gli effetti. Ma attenzione, non sarà attraverso i siti. Il vino si comprerà con il cellulare, o lo smart watch. Si punta il telefono verso la bottiglia e si schiaccia il tasto Buy. Già oggi Amazon in Usa ha una cantina con 35mila etichette, Facebook e Google stanno entrando nel mercato, saranno tutti nei prossimi giorni a Vinitaly a promuovere la loro offerta. Tutti e tre stanno sviluppando un virtual assistant, una app che ci guida negli acquisti, esattamente come Amazon fa già con i libri. Sia Amazon che Alibaba, il gigante cinese delle vendite online, hanno due grandi punti di forza: sanno cosa mi piace e possiedono un’ottima logistica.

Cosa possono fare i piccoli produttori in uno scenario del genere?

Investire sul brand. Coltivare i propri clienti. Avvicinarsi al consumatore, avere con lui un rapporto diretto. Investire sul turismo del vino. Fare squadra con settori affini. Lavorare sul packaging per renderlo più accattivante. I grandi vini sono quelli che io chiamo Lilugo, Liquid Luxury Goods, devono avere un vestito adeguato. Loro meritano preziosi tappi in sughero, supertestati per evitare al massimo i rischi di imperfezioni del vino. Ma tutti gli altri vini dovrebbero liberarsi della tirannia della bottiglia, sperimentare di più e convertirsi senza dubbi al tappo a vite.

Nel futuro il consolidamento del settore sarà inevitabile?

Continueranno ad esistere le antiche case vinicole familiari. Ma saranno produzioni di nicchia. Il problema del vino è che genera un basso ritorno di investimento. Le aziende di nuova generazione, quelle che non hanno alle spalle decenni di storia e tradizione, guardano ai margini e agli strumenti di marketing, trattano il vino allo stesso modo dei produttori di birra o alcolici.

Quali sono i mercati del futuro?

Certamente la Cina, anche l’India crescerà, seppur più lentamente. Vietnam, Cambogia, anche i Paesi africani cominciano ad essere interessanti.
Per quanto riguarda la Cina: non focalizzarsi sull’abbinamento dei nostri vini alla loro cucina, non limitarsi a tradurre i nostri siti in mandarino e soprattutto smettere di cercare di vendere vini rossi strutturati ad attempati uomini d’affari e puntare piuttosto su bianchi, rosé e bollicine, decisamente più graditi alle signore.

Quanto inciderà il cambiamento climatico sull’enologia?

Avrà effetto, naturalmente. Berremo meno vino, con grado alcolico maggiore. E compreremo etichette danesi…

Il suo vino preferito?

Cambia ogni giorno della settimana e più volte al giorno. In questo momento berrei un Chiaretto di Bardolino. Adoro i vini italiani, ma sono come le vostre donne, belli e tremendamente complicati.

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