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Il giardino del San Marzano, dove arrivano a studiare americani e giapponesi

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Ristoranti

Il giardino del San Marzano, dove arrivano a studiare americani e giapponesi

Un selfie a Marechiaro, una passeggiata su via Caracciolo (sullo sfondo Castel dell’Ovo), la pizza a Mergellina, gli scavi di Pompei, la gita in Costiera. Così è un gran tour nel Paese do’ sole, itinerario imperdibile per turisti  alla ricerca di siti Unesco e panorami mozzafiato tra le pendici del Vesuvio e la penisola sorrentina. Ma non è tutto: per una vacanza davvero immersiva, americani e giapponesi (soprattutto) ricercano i luoghi della tipicità enogastronomica. Ed eccoli estasiati nel giardino del San Marzano, a Sarno, a raccogliere pomodori, a seccarli al sole, a spaccarli “a pacchetelle” per riempirne vecchie bottiglie di gassosa da bollire a  bagno maria nei bidoni. Cuoceranno avvolte negli strofinacci per circa un’ora, fino a quando le patate poggiate in superficie si spaccheranno. Proprio com’era una volta. Qui lo storytelling.

Americani, giapponesi e Vip a lezione nei campi

Nel frattempo, i visitatori imparano a vangare nei campi, a frantumare le zolle, a solcare la terra (solo con i piedi), a seminare o a mettere a dimora le piantine (solo con le mani), intrecciandole e organizzandole in filari. «Prendono appunti, chiedono lezioni private», racconta Paolo Ruggiero, ideatore del Giardino del pomodoro San Marzano. Frequentato anche da molti volti noti. Come Toni Servillo che qualche mese fa ha telefonato per annunciare la sua visita: «Era in una pizzeria e aveva mangiato i miei San Marzano su una Margherita». Il giorno dopo era a Sarno a caricare “buatte” di pomodoro nel bagagliaio della macchina.

Danicoop, 50 nonni agricoltori

«Per me non c’è soddisfazione più grande che raccontare al mondo questa meraviglia», continua Ruggiero, fondatore con il padre e i fratelli Pasquale e Danilo della cooperativa Danicoop, 50 produttori non proprio giovanissimi, tra i 60 e gli 80 anni: con le rispettive famiglie, in 25 ettari, coltivano vero San Marzano, presidio Slow Food e, dal 1996, pomodoro  a denominazione di origine protetta. Tre milioni di euro il fatturato. Lo confezionano in lattine o in vetro e lo distribuiscono nel mondo: il 70% della produzione parte per l’ Australia, la Nuova Zelanda, gli Emirati Arabi e per l’Europa. In etichetta, indicazioni precise che consentono di risalire a ogni fase della lavorazione. I prodotti sono in vendita anche da Eataly e distribuiti direttamente con il marchio Gustarosso, in locali simbolo della tradizione gastronomica campana, come le pizzerie del maestro Enzo Coccia e quelle di Gino Sorbillo.

Tracciabilità totale per sconfiggere la contraffazione

La questione della tracciabilità è quanto mai delicata: tra italian sounding (San Marzano prodotti in California e venduti negli Stati Uniti come made in Italy, ad esempio) e pomodori cinesi utilizzati nelle salse anche dall’industria del nord (tagliate fino al 70% le conserve  destinate ai mercati inglesi e tedeschi, il 20% a quello italiano), i produttori di San Marzano Dop non si sentono tutelati: «Con le nostre etichette apposte sui cassoni è possibile  risalire agli agricoltori, alle date di trapianto e a quelle di consegna, individuare lo stabilimento. Le nostre confezioni  giungono a destinazione siglate e tracciate. Ma non tutti si muovono con correttezza e con scrupolo», spiega Ruggiero.

Pummarola cinese

In molti spacciano per pummarola nostrana il triplo concentrato di pomodoro  cinese acquistato a prezzi stracciatissimi.  Tempo fa Coldiretti segnalava in un report che «gli stabilimenti di trasformazione importano 72 milioni di chili di salsa ristretta dalla Cina: l’equivalente di quasi il 20% della produzione italiana di pomodoro fresco. Molti cercano di fare affari sui prodotti di qualità garantiti dal lavoro degli agricoltori italiani. Un inganno che complessivamente vale 60 miliardi di euro solo all’estero».

Denunce e controlli in negozi e ristoranti

La contraffazione è tenuta sotto controllo da tempo: sono già scattate denunce e sequestri. Qualche anno fa il Consorzio di tutela del Pomodoro San Marzano dell’agro Sarnese-Nocerino Dop, in collaborazione con le forze dell’ordine, ha individuato i primi  falsari e si è costituito parte civile nei processi. «Contemporaneamente sono stati intensificati i controlli negli esercizi commerciali e nei ristoranti dove spesso si propongono menù a base di finto San Marzano»,  afferma l’ex presidente del Consorzio Edoardo Ruggiero oggi a capo della Danicoop.  È stato chiesto, inoltre, alla Regione di rafforzare la ricerca sui semi originali – San Marzano 2 e Kiros, ex selezione Cirio 3 –  per offrire ai consumatori una migliore qualità e creare le condizioni per rendere più redditizie le produzioni degli agricoltori.

“O vrassecaro”, antico rito di selezione dei semi (controllati da Agroqualità)

Il raccolto è appena cominciato e si prolungherà fino a settembre. I pomodori si staccano dalla pianta uno ad uno, rigorosamente a mano e a scalare, seguendo il grado di maturazione dei frutti. Come si fa per l’uva. Poi vengono selezionati, tagliati e lavorati negli stabilimenti. Il  sapore è agrodolce, la forma allungata a lampadina, il olore rosso vivo, scarsa presenza di semi e di fibre placentari, buccia di colore intenso e di facile pelabilità. Ma, alla fine, il passaggio più importante sarà quello di ricavare dai frutti femmina i semi per la riproduzione: in dialetto si dice “fare o vrassecaro”. Il controllo di qualità e di varietà sui semi spetta ad Agroqualità, società di certificazione per i prodotti agroalimentari, che, dopo averli valutati, autorizza l’agricoltore all’apposizione del marchio Dop. «A quel punto i coltivatori avranno delle quote rapportate all’estensione dei propri suoli – precisa Paolo Ruggiero – Non solo, i terreni saranno sottoposti a controlli successivi per verificare che vengano usati solo fitofarmaci vegetali. Qualora risultassero difformi, piante e campi dovranno essere distrutti». Per ogni ettaro, la produzione di pomodori non può superare gli 800 quintali. «In caso di eccedenza, è sempre Agroqualità che interviene per accertarsi  che il raccolto sia solo di San Marzano».

Terreni coltivati alle sorgenti del Sarno

I campi della Danicoop si estendono intorno  alla sorgente del fiume Sarno, dove confluiscono il Rio Palazzo, Rio Foce e Rio San Marino. Si prevede che quest’anno la quantità di San Marzano raggiungerà gli 800mila kg (per un valore di circa 400mila euro di prodotto fresco).  La terra vulcanica è ricca  di argilla e di calcio, l’acqua  sgorga limpida,  lo conferma anche Goletta Verde. Contadini e pensionati si impegnano in continue azioni di bonifica per mantenere pulito il tratto iniziale del fiume. Più giù  il bacino si inquina per le carenze del sistema fognario, per i fertilizzanti chimici, per l’industria che non tratta adeguatamente gli scarichi.

Pestum, Pompei e San Marzano

Tutt’intorno  un territorio di eccezionale valore per i suoi paesaggi, per la storia e la cultura. Pestum, Pompei e l’enogastronomia.  «Siamo nella valle più fertile del mondo – afferma con orgoglio Ruggiero – ogni pomeriggio spira fin qui la brezza di Castellammare. Un altro elemento climatico prezioso per i nostri pomodori».  Qui si lavora la terra “in consociazione”, secondo una tecnica antica: «In piccoli appezzamenti i contadini riescono a coltivare manualmente fino a 15 ortaggi diversi.  Non solo pomodori ma anche sedano, fagiolini, insalata. È il segreto che tutti gli stranieri vorrebbero scoprire. Ma non c’è, è la natura». Accanto ai San Marzano, filari di Lucariello, il pomodorino giallo nato dall’ innesto della varietà dell’agro sarnese-nocerino con quella del piennolo del Vesuvio e tanto Corbarino.

Anni ’90, la Cirio rilancia le coltivazioni

Il primo seme di pomodoro, arrivato dal Guatemala, fu piantato  nella località di Fiano, tra Sarno e Nocera, nei terreni della conca di Lavorate, agli inizi del ‘900. E incrociando le varietà Fiascona,  Fiaschella e Re Umberto è diventato San Marzano. Già nel ’29  si contavano nell’area  più di 100 fabbriche per l’esportazione di pelato, nelle quali lavoravano 12mila addetti. Il sugo di pomodoro ricopriva i fusilli dei mulini di Gragnano e di Torre Annunziata. E il cavalier Cirio, che a Torino produceva pelato da salsa, venne al Sud per dare impulso agli agricoltori.  «Francesco Cirio capì che i nostri terreni erano particolarmente adatti per lo sviluppo delle colture – racconta Ruggiero – e regalò al mio bisnonno un piccolo stabilimento per la trasformazione del pomodoro. Non abbiamo mai smesso: oggi è nei campi la nostra quarta generazione».

Slow Food tutela gli antichi pomodori di Napoli

Con Cirio i pomodori pelati diventano una specialità dell’export italiano. Eppure negli anni ’80 il San Marzano ha rischiato di scomparire: in poco tempo, solo in provincia di Salerno, il numero degli addetti alla lavorazione e alla conservazione di frutta e di ortaggi subì un crollo del 60%, passando da 9mila unità a meno di 4mila. Il San Marzano era praticamente estinto, ma lo ha rilanciato il centro ricerche dell’ex consorzio Cirio (oggi Gruppo conserve Italia). Gli agronomi ne hanno selezionato 33 ecotipi riconducibili alle caratteristiche originarie: solo minime sfumature di forma, colore e sapore.  Dal 2000 Slow Food tutela la varietà Smec 20, gli antichi pomodori di Napoli.

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