
Non basta la gradazione alcolica e la densità a fare di una bionda una birra artigianale. La normativa vigente (legge 16 agosto 1962 n. 1354 e successive modifiche) riserva la denominazione di birra al prodotto “con grado Plato superiore a 10,5 e con titolo alcolometrico volumico superiore a 3,5%; tale prodotto può essere denominato “birra speciale” se il grado Plato non è inferiore a 12,5 e “birra doppio malto” se non è inferiore a 14,5”. I gradi Plato misurano il contenuto zuccherino del mosto. Ma c’è anche la light e l’analcolica. Nell’elenco non compare mai, però, la dicitura birra artigianale, d’abbazia, Ale, Lager, Bitter, Pils.
Microbirrifici e grandi impianti, per la legge non c’è differenza
Di fatto la legislazione italiana non fa differenza tra microbirrifici e grandi impianti industriali, nemmeno per i livelli di imposizione fiscale o per la complessità degli adempimenti. Per questo Giuseppe Collesi, presidente del birrificio marchigiano Tenute Collesi, a nome di molti colleghi italiani, ha presentato alla Camera una proposta per la denominazione di vendita della birra artigianale.
Denominazione di birra artigianale, la proposta è alla Camera
Per i produttori si tratta di una definizione indispensabile, riferita non solo all’utilizzo delle materie prime e ai volumi di produzione ridotti rispetto a quelli dell’industria, ma soprattutto al processo di lavorazione: la birra artigianale non può prevedere la pastorizzazione, la microfiltrazione e l’aggiunta di anidride carbonica in fase di maturazione del mosto. Tali pratiche “impoveriscono il prodotto delle proprietà nutrizionali ed organolettiche”, si legge nella proposta di Collesi: un contributo fondamentale alla discussione in atto sulla regolamentazione del settore della birra artigianale, di cui si occupa il disegno di legge C. 3119 (in materia di semplificazione e sicurezza agroalimentare) già approvato in Senato.
La craft beer americana
La carta di identità contenuta nel documento presentato in commissione Agricoltura si ispira alla craft beer americana, attenta al controllo manuale di tutte le fasi di lavorazione della birra. L’associazione dei birrifici statunitensi è stata la prima a fissare criteri specifici per la birra artigianale che deve rispondere ai criteri di piccolo (produzione inferiore ai 6 milioni di US barrel l’anno), indipendente (dalle aziende del beverage) e tradizionale: solo malto d’orzo in almeno metà della produzione.
Collesi, il luppolo non può essere solo italiano
E’ da definire anche la questione degli ingredienti primari: Collesi ribadisce che non si può subordinare l’artigianalità della birra all’italianità delle materie prime. “Cominciando dal luppolo: la produzione di questa pianta sul nostro territorio è troppo bassa per soddisfare tutti i birrifici nazionali”, spiega basandosi sugli studi eseguiti dal dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari dell’Università degli Studi di Parma e dall’ Italian hops company, progetto di ricerca dell’ateneo parmense per la coltivazione bio del luppolo autoctono.
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