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L’agricoltura del III millennio sa di antico e di nuovo. L’esperienza di Rural Hub

Questo è un pezzo zeppo di parole inglesi. Ma ci sono anche molte parole antiche. Succede se la ruralità e i suoi gesti di sempre incontrano i mondi digitali. Rural Hub nasce per questo. Una start up che vede coinvolti altri due soggetti, l’associazione Libera Terra e lo IAMB (l’istituto agronomico mediterraneo di Bari) e che ha vinto l’anno scorso il bando istituito dal ministero dell’Istruzione per le start up innovative nel Sud Italia. Il varo è ora, aprile 2014. Esiste un luogo fisico dove queste connessioni prendono vita, è a Calvanico, in provincia di Salerno. Intorno ci sono i monti Picentini, i noccioleti della Dop Giffoni e i castagneti che non fanno più castagne da cinque anni, a causa del cinipide calligeno, una vespa che non dà scampo.

Michele Sica ha 27 anni, qui lavora come farmer 2.0. Il caseggiato è della sua famiglia che ha accettato di farne un luogo di condivisione. Non ha ancora 30 anni ed è già un emigrante pentito. Aveva un lavoro a Roma in una società di web e social media marketing, ma qualcosa non è andato: è quella sensazione che hanno spesso i migranti laureati e masterizzati, il senso di fregatura. L’agricoltura di nuova generazione è spesso un racconto di ritorni e anche gli altri membri del team lo sanno. Come Francesco Martusciello, fondatore di una delle cantine vitivinicole più note in Campania, Grotta del Sole. Un lavoro ventennale fatto sul recupero dei vitigni autoctoni dei Campi Flegrei e che non ha dato i frutti sperati, soprattutto in termini di valorizzazione del territorio. Un’altra amarezza che diventa rilancio. In Rural Hub lui è il Ceo. Chi bazzica l’ambiente digital conosce Alex Giordano, che della start up è presidente e direttore scientifico. Fondatore di Ninja Marketing, fa parte del gruppo di ricerca di Societing, dove si elaborano progetti di etnografia digitale e di social innovation (come dicevo, ci sono diverse parole inglesi). Ci sono poi Agostino Riitano e Gennaro Fontanarosa, impegnati entrambi a capire come poter utilizzare il web per innescare processi di innovazione sociale.

Torniamo alla campagna. Quella di Calvanico, che diventa piattaforma globale. “Abbiamo già fatto diverse summer school – racconta Francesco Martusciello – dove partecipano ragazzi e ragazze, spesso tra i 25 e i 30 anni, che ci parlano del fenomeno diffuso del downshifting (lo scalare di marcia) e che vogliono occuparsi di cose più essenziali, ma utilizzando al meglio le tecnologie innovative. Vengono scelti tramite contest in Rete e una volta qui, lavorano a progetti comuni, zappano, cucinano quello che hanno raccolto, ascoltano gli speech dei docenti ospiti. Non è solo teoria. Ci sono temi “caldi” da affrontare: la sicurezza alimentare,la mappatura dei terreni agricoli disponibili, il valore commerciale dei prodotti sostenibili (che oggi si aggira intorno ai 260 miliardi di euro), le logiche della distribuzione”.

Rural Hub è stata anche in missione in Cina con il China Italy Innovation Forum organizzato dal Ministero della Scienza e Tecnologia Cinese (MOST). “A Nanjing e a Shangai – continua Francesco – abbiamo avuto un’accoglienza inaspettata e abbiamo contatti che potrebbero portarci a lavorare con le loro comunità rurali”. Intanto nel Salernitano c’è chi ha imparato a fare il carbone insieme ai vecchi carbonai della zona. Ventiquattrore passate intorno al “catuozzo”, a far attenzione che la catasta non prenda fuoco, o chi nei prossimi giorni imparerà a riconoscere le erbe spontanee commestibili e quelle officinali.

La difficoltà sta nel non limitarsi all’applicazione del marketing tradizionale “Oggi si parla tanto di branding – spiega Martusciello – ma il valore delle produzioni deve ricadere innanzitutto sulle comunità di appartenenza. Studiare modi nuovi di vivere la ruralità non significa solo andare in campagna, ma anche consumare i suoi prodotti e poter vivere dignitosamente di agricoltura”. Senza dimenticare l’aiuto che le nuove tecnologie possono offrire. “Un esempio – spiega il Ceo di Rural Hub – è l’applicazione dell’ hardware Arduino (famosa start up piemontese) nella costruzione di macchine agricole. Open source e fine del monopolio delle poche industrie produttrici. L’agricoltura del III millennio può essere meno dispendiosa”.

Prossimi appuntamenti, un Rural Rave a Calvanico nel mese di luglio, una tre giorni di musica e incontri e “perché no – progetta Francesco – un hackaton sul vino, una maratona di idee da concretizzare in interventi reali: trovare il miglior sistema di allevamento, il monitoraggio più adatto alla salute della pianta, l’importanza degli interventi a richiesta e non programmati. E poi condividere tutto, sentirsi, ancora prima che fare, Open data.

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