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L'allieva di Romito che "rilegge" la cucina calabrese

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L'allieva di Romito che "rilegge" la cucina calabrese

Il primo problema per chi vive e lavora a Strongoli è comunicare. Non solo per riuscire a far conoscere al resto del mondo che, anche in un piccolo centro della Calabria crotonese a due passi dal mar Ionio, si possono realizzare progetti importanti, si possono costruire imprese e creare posti di lavoro.
Al ristorante Dattilo di Caterina Ceraudo è difficile anche comunicare telefonicamente. La copertura dei cellulari va e viene, a volte, quando c’è vento, va e viene anche la linea telefonica tradizionale.
Eppure, nonostante tutto, Caterina e la sua famiglia hanno messo su un’impresa che, ruotando attorno al ristorante, vive di agricoltura biologica, di prodotti locali, di vini dagli aromi unici. Perché a volte quello che il posto ti toglie, anche il piacere di una semplice telefonata senza interruzioni, te lo regala in termini di tradizioni, di sapori, di odori, di prodotti ricchi di sole, unici nella loro semplicità, straordinari per il gusto che sanno regalare.
Quella ricchezza che ci riporta a valori antichi che i ritmi frenetici della vita di tutti i giorni ci fanno dimenticare e che, invece, varrebbe la pena riscoprire, perché quando li riscopri non smetti più di cercarli.
Caterina ha solo 28 anni, ma le idee molto chiare.
Ha sognato di fare la chef da quando era ragazzina: non ci ha messo molto per trasformare il suo sogno in realtà.
«E’ stato mio padre Roberto a decidere nel 2004 di aprire il ristorante. Niente di troppo ricercato: era un ristorante normale ideale per servire i clienti che decidevano di passare qualche giorno nel nostro agriturismo. Poi, con il passar del tempo, la gastronomia è diventata il punto di riferimento principale della nostra azienda: parte della materia prima che utilizziamo nel nostro ristorante siamo nei stessi a produrla ed i nostri clienti possono seguirne tutto il processo, dalla coltivazione, alla trasformazione, all’assaggio che da emozione».
Caterina racconta la sua storia con l’entusiasmo di chi, nonostante l’età, l’ha vissuta da protagonista, di chi, proprio grazie all’età, ha ancora voglia di scriverne pagine importanti.
«Quando ho terminato le scuole superiori avrei voluto tuffarmi anima e corpo nell’azienda di famiglia, tuttavia – continua Caterina – ero consapevole di quanto fosse determinante essere preparati, per questo ho deciso di iscrivermi all’università: ho scelto la facoltà di enologia, all’ateneo di Pisa. Avevo voglia di bruciare le tappe: mi sono laureata in tre anni e mezzo e in quello stesso periodo ho anche approfittato del mio tempo per fare stage in ristoranti ed aziende vinicole di mezza Italia. Quando tornavo a casa lavoravo dando una mano in sala. Volevo diventare un vera professionista».

La svolta dopo l’incontro con Romito

Poi la svolta, il momento più importante della sua vita dal punto di vista professionale.
«E’ stato l’incontro con Niko Romito – conferma non nascondendo l’emozione per quell’esperienza – avevo sentito parlare della sua scuola di formazione così ho deciso di chiamarlo. Mi sono trasferita a Castel di Sangro. Ho studiato ancora, tanto. Ore ed ore sui libri, nelle cucine, nelle palestre dei mercati, nelle aziende dei produttori.In tanti mi avevano consigliato di lasciar perdere, mi dicevano che sarebbe stato difficile, pesante, per una donna fare lo chef. Ma io avevo un fuoco dentro, e ce l’ho ancora. Così non mi sono lasciata condizionare».
Ma da Niko è tornata cambiata radicalmente.
«Le sue lezioni, il suo apporto, il suo appoggio, il suo essere trasparente, per niente geloso del suo sapere, mi hanno fatto comprendere quanto fosse indispensabile lavorare e trasformare la materia prima rispettando il cliente che, quando si siede a tavola, ripone in noi tutta la sua fiducia».
Tornata a Strongoli Caterina Ceraudo entra da protagonista nelle cucine del ristorante di famiglia e pian piano ne trasforma la carta.
«Avevamo già preso la prima stella dalla Michelin nel 2011- spiega con soddisfazione – con il mio arrivo il primo obiettivo da raggiungere era quello di mantenerla. Per questo quando sono rientrata al Dattilo non ho stravolto immediatamente il nostro menù.
Ma quello che avevo imparato mi imponeva di cambiare. L’attenzione che ho per la materia prima, per la sua qualità, per la sua provenienza, è quasi maniacale. Scelgo i produttori uno per uno, scelgo i prodotti quasi uno per uno. Non posso non ripagare la fiducia di chi siede ai tavoli del Dattilo, noi siamo quello che mangiamo, la nostra salute dipende da ciò che mangiamo, le nostre emozioni possono dipendere da ciò che mangiamo».

Legati al territorio

Viviamo in un territorio difficile – ribadisce la Ceraudo – siamo ai margini del mondo, chi viene da noi viene perché ci ha scelto, non perché passa per caso dal nostro ristorante. Abbiamo solo una possibilità per dimostrare la qualità di ciò che facciamo: l’unica nostra occasione è la prima occasione. Ma anche se il nostro territorio può sembrare complicato, anche se il numero dei nostri coperti settimanali è lontano anni luce da quello di un ristorante che gravita in una grande città, proprio quel territorio mi perette di andare alla scoperta delle tradizioni gastronomiche che ci contraddistinguono e dalle quali possiamo e dobbiamo ripartire per costruire un domani migliore. In questo senso il piatto che più rappresenta questo percorso è lo “Spaghetto Borragine e ricotta salata».
Perché proprio questo piatto?
«Perchè è un piatto apparentemente molto semplice che richiama la tradizione del nostro territorio ma che per essere realizzato ha bisogno di un lavoro certosino che lo porta a diventare ciò che è».
Varrebbe la pena raccontarlo…
«Inutile soffermarci sulla pasta. Il livello di attenzione maggiore va alla borragine – spiega Caterina Ceraudo – è un’erba tipica della nostra zona, se ne trova davvero tanta, ma la gente non la riconosce più, soprattutto non la cucina più. Si tratta di un’erba molto amara, che ha una struttura filiforme e che al palato può dare un pizzico di fastidio. Ma abbiamo aggirato il problema proprio con la lavorazione. La stufo in pentola poi l’abbatto a basse temperature per preservarne colore e sapore.
Per costruire il mio piatto uso l’acqua di vegetazione che viene prodotta dalla lavorazione di questa erba. Quindi nel piatto la borragine non si vede, ma se ne sente tutto il sapore. Nel piatto c’è solo un grande spaghetto tinto di verde che ho cotto facendolo mantecare proprio nell’acqua di borragine di cui assume colore e gusto. Sopra lo spaghetto, così preparato, spolveriamo la ricotta salata che oltre a dare un pizzico di colorazione in più al nostro piatto, fornisce la sapidità tipica dei piatti del sud.
Insomma parto dalla tradizione, da ciò che il nostro territorio ci offre, per costruire, seppur attraverso un percorso gastronomico, qualcosa che possa offrirci un’opportunità migliore, anche se in questo caso esclusivamente legato al sapore».

Azienda di agricoltura biologica

E’ così che la crescita vien mangiando?
«E’ un po’ il segreto che ciascuno di noi, nella nostra splendida penisola dovrebbe riscoprire. Non scappo via da Strongoli, dalla mia terra perché qui è difficile fare le cose che facciamo – sottolinea con forza Caterina – anzi, cerchiamo continuamente di migliorarci e di costruire un mondo migliore per noi e per gli altri: quello che inizialmente era un piccolo agriturismo, progettato a conduzione familiare, oggi si è trasformato in un’azienda di agricoltura biologica, con tanti dipendenti. Produciamo vini, offriamo i sapori della nostra terra attraverso la nostra cucina, il nostro è un vero percorso del gusto. Ciò che mi gratifica oltre ogni misura è leggere la soddisfazione negli occhi delle persone che assaggiano la mia cucina, ogni volta che li vedo felici mi sento appagata, tanto che, se dipendesse da me, lascerei che andassero via senza pagare il: con la loro soddisfazione, in altro modo, lo hanno già fatto…».

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