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La cotoletta alla milanese? Un regalo della rivoluzione…

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La cotoletta alla milanese? Un regalo della rivoluzione francese...

Lo raccontavano persino i viennesi che il loro piatto più tipico, la Wiener Schnitzel, era figlio della cotoletta alla milanese, portata dalla capitale del Lombardo-Veneto alla capitale austriaca dal maresciallo Radetzky. Questi, tra una marcia e uno star in cagnesco, avrebbe pure trovato il tempo di parlar di cotolette. Le guide austriache raccontavano che Vienna aveva fagocitato e fatto propri i migliori cibi delle varie parti della monarchia: il gulasch dall’Ungheria, le palacinke dai Balcani, e quindi anche la cotoletta da Milano. In effetti il ragionamento fila, potrebbe essere. Ci sarebbe persino una lettera in cui il maresciallo magnificherebbe le progressive doti della cotoletta, alcuni libri ne riportano brani tra virgolette: autorevoli citazioni.

Il viaggio della cotoletta verso Nord

Invece non c’è niente di vero, la lettera non esiste, e se mai la cotoletta fosse davvero andata da Milano a Vienna, certo non lo ha fatto sulle punte delle baionette di Radetzky. La Milano-connection, come la definiscono gli austriaci, comincia in tempi abbastanza recenti, nel 1963, con una sorta di manovra a tenaglia. In Germania il settimanale “Die Zeit” (solitamente definito «autorevole», ma in quest’occasione mica tanto) il 31 maggio di quell’anno pubblica un articolo dal titolo «I menù degli Asburgo». E scrive: «Mentre Radetzky esercitava il suo comando nell’Italia settentrionale, informò Vienna che a Milano si impanavano le cotolette di vitello in modo assai appetitoso. L’Italia andò poi perduta, ma ai viennesi fu regalata la Schnitzel, una diversa specie di costoletta milanese». Al tempo, nessuno obietta che Radetzky – in Italia dal 1831 al 1857 – non poteva aver trasmesso ai viennesi questa preparazione, per il semplice motivo che la conoscevano già.

Nel medesimo 1963 esce in Italia “La cucina lombarda”, libro firmato da Felice Cùnsolo un giornalista siciliano trapiantato a Milano e divenuto convinto cantore della cucina meneghina. Qualcuno doveva essersi sognato di dire che la cotoletta aveva fatto il percorso inverso: da Vienna a Milano. Sia ben chiaro, la teoria è plausibile quanto l’altra, i cuochi dei dignitari austriaci avrebbero in effetti potuto insegnare qualche loro specialità ai colleghi milanesi. Solo che, come nell’altro caso, non c’è alcuna prova che sia accaduto. Comunque Cùnsolo si sente offeso nel profondo dell’animo e nel libro apre il fuoco: «Per anni e anni alcuni esterofili impenitenti si sono affannati ad attribuire l’invenzione della famosa costoletta a cuochi viennesi. Chi cercava di difendere il merito ambrosiano, non disponendo di prove, sciupava fiato e parole». E invece, ecco che Cùnsolo cala l’asso: «Una fortuita scoperta fatta da studiosi austriaci è venuta di recente a riconoscere in modo lampante la priorità meneghina. Il Wiener Schnitzel non è padre, ma figlio della cotoletta. Nell’archivio di stato di Vienna è stato infatti ritrovato un documento redatto dal conte Attems, aiutante di campo di Francesco Giuseppe, in cui si cita un lungo e dettagliato rapporto del maresciallo Radetzky sulla situazione politico-militare della Lombardia. Marginalmente questo rapporto informava l’imperial governo che i milanesi sapevano cucinare qualcosa di veramente straordinario, la costoletta di vitello intinta nell’uovo, impanata e fritta nel burro. Il particolare dovette restare bene impresso nella memoria dell’imperatore se Radeztky una volta tornato a Vienna, fu chiamato a palazzo e pregato di dettare al capo dei cuochi dell’aulica cucina la precisa ricetta della tanto decantata vivanda».

Ma Francesco Giuseppe non era gourmet

Ora, è possibile che dopo tutto l’ambaradan che era successo in Italia, l’unica preoccupazione di Francesco Giuseppe fosse quella di spedire l’appena rientrato feldmaresciallo dal capo cuoco a dettargli una ricetta? Neanche un rapportino militare? E tutto questo da parte di un imperatore totalmente disinteressato al cibo che tutte le sere, invariabilmente, cenava soltanto a Tafelspiz (bollito di manzo)?

In ogni caso “La cucina lombarda” non diventa un bestseller e la storia di Radeztky esportatore di cotolette rimane appannaggio di pochi aficionados. Le cose cambiano parecchio quando, nel 1969, il Touring Club Italiano pubblica una nuova edizione della «Guida  gastronomica d’Italia». Sapete chi ne è autore? Ebbene sì: Felice Cùnsolo. Il quale nelle pagine dedicate alla Lombardia, scrive: «Intervengono alcuni contestatori ad affermare che la costoletta è una filiazione del Wiener Schnitzel, ma si guardano bene dal provare quanto dicono perché non hanno in mano nessun documento. In effetti si tratta di una contestazione da non prendere sul serio». E poi, per sostenere la sua tesi, riporta una citazione, tra virgolette, per darle autorevolezza. Eh sì, proprio così: cita “La cucina lombarda”, ma naturalmente omette di precisare che citante e citato sono la stessa persona.

Due anni dopo la guida del Touring viene tradotta in tedesco e la storiella farlocca diventa una verità. E perché no? In fondo è verosimile, non fa male a nessuno, anzi è un po’ «una faccia una razza» tra italiani e austriaci che per vari altri motivi tanto bene non si vogliono. Tutto fila via liscio fino a quando, nel 2001, uno storico, Zahnhausen, decide di vederci chiaro sulla Milano-connection. «Dal punto di vista scientifico la storiella è priva di qualsiasi fondamento. Nessuno degli scritti che si occupano di Radetzky cita questo episodio, in nessun lavoro biografico sulla monarchia asburgica compare un conte Attems in quel periodo e in quella posizione», conclude. Capito? Cùnsolo si era inventato tutto: gli storici austriaci, le ricerche d’archivio, e pure il conte Attems. Esiste sì, tra Gorizia e Graz, la nobile famiglia Attems, ma nessuno di loro era aiutante di campo di Francesco Giuseppe in quegli anni.

Una cotoletta “rivoluzionaria”

Ma allora, cosa lega la costoletta alla milanese alla Wiener Schnitzel? Forse la comune origine francese. Scrive infatti lo storico della gastronomia Massimo Alberini: «Dai libri francesi emerge che la cotoletta alla milanese (e il Wiener Schnitzel) non sono affatto milanesi. Una ricetta del 1735, ma soprattutto il trattato “La science du maitre d’hotel”, del 1749, parla di cotolette impanate e fritte, che vengono riportate anche nelle edizioni successive del fortunatissimo libro e arriveranno a Milano col nome “cotolette Rivoluzione francese”». La differenza sostanziale con la milanese consiste nella marinatura della carne in burro fuso, sale, pepe, chiodi di garofano ed erbe aromatiche, prima del passaggio in farina, uovo e pangrattato.

A fare da tramite, anziché il burbero maresciallo Radetzky, potrebbe essere stata invece la brillante Maria Luigia di Parma. La duchessa, nata a Vienna, rampolla degli Asburgo-Lorena, diventa imperatrice dei francesi in quanto moglie di Napoleone Bonaparte. Ma non segue il marito nella cattiva sorte e il congresso di Vienna, nel 1814, la mette sul trono del ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, dove regnerà fino al 1847. La duchessa porta con sé alcuni cuochi dalla Francia e mantiene stretti i legami con Vienna. Potrebbe esser stata lei, quindi, a far giungere in Austria la “cotoletta Rivoluzione francese” impanata e fritta. Non c’è alcuna prova, neanche in questo caso, ma i tempi coincidono: la prima volta che si parla di Wiener Schnitzel è in un libro di ricette praghesi del 1831, quindi regnante Maria Luigia. C’è da dire, però, che la tecnica dell’impanatura era già conosciuta in Austria: se ne parla dal 1719 per verdure e cervella di vitello e nel 1768 si diffondono le prime ricette di cotolette di vitello impanate. Quindi anche la Parma-connection, seppur più solida della Milano-connection, ha i suoi bravi punti deboli.

Credit photo: www.cotolettamilanese.it

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