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La cucina giapponese diventa patrimonio dell'umanità (ma chi sa cos'è il washoku?)

I giapponesi hanno appreso con orgoglio che la loro cucina tradizionale è stata inserita nella lista Unesco come patrimonio intangibile dell’Umanità: anche se la loro dieta è sempre meno tipica e sempre più internazionale, il riconoscimento mondiale assegnato settimana scorsa al “washoku” dal comitato riunito a Baku li ha resi felici, anche per il potenziale effetto di traino economico e di rafforzamento di una proiezione culturale internazionale. Il “premio”, tra l’altro, ha sottolineato che il washoku è “associato a uno spirito di essenziale rispetto per la natura che è correlato strettamente alla sostenibilità dell’uso delle risorse naturali”, a parte il valore della dieta tradizionale nipponica nel contribuire alla longevità e alla prevenzione dell’obesità.

Così il cibo alla giapponese si è aggiunto agli altri quattro tipi di cucina già dichiarati World Heritage intangibili: la cucina francese, la dieta mediterranea (Italia, Spagna, Grecia e Marocco, a cui si aggiungono ora Portogallo, Cipro e Croazia), la cucina tradizionale messicana e la tradizione cerimoniale turca del Keskek. A Baku è stato anche deciso di registrare l’antico metodo georgiano per la produzione dei vini (Qvevri). Lista certo un po’ curiosa, legata a equilibri e spinte diplomatiche, e comunque decisamente ambìta: Tokyo, in particolare, si attende ricadute di grande importanza da questo inserimento.

Il cibo giapponese, in termini generali, aveva avuto un tremendo danno di immagine all’estero in seguito alle conseguenze della crisi nucleare di Fukushima: da sinonimo di qualità e affidabilità, improvvisamente era passato a evocare pericoli per la salute allo stesso modo del cibo cinese ai tempi del caso della Sars. Un handicap che non è ancora del tutto scomparso, se è vero che la Corea del Sud ha ancora in essere un bando totale delle importazioni di prodotti ittici da tutto il Giappone settentrionale. Un capitolo importante dell’Abenomics - le politiche di stimolo alla crescita economica promossa dal governo del premier Shinzo Abe - riguarda una rivoluzione agricola per cui una maggiore apertura del mercato interno ai prodotti stranieri (resa necessaria dal perseguimento degli accordi di libero scambio  con l’Unione Europea e la Trans-Pacific Partnership incentrata sugli Stati Uniti) dovrà essere compensata dal raggiungimento di un obiettivo ambizioso: il raddoppio delle esportazioni di prodotti agroalimentari entro in 2020. Così l’alimentare è entrato a pieno titolo negli sforzi di promozione del “Cool Japan”, ossia dell’attrattività internazionale di un Paese che vuole sviluppare - pensando anche alle ricadute economiche - il suo soft power, esercitando una capacità di influenza sempre più estesa su culture e costumi all’estero sotto vari aspetti.

I documenti approvati dall’organismo Unesco introducono a vari aspetti del washoku, prendendo in considerazione una varietà di cibi, dall’Hokkaido a Okinawa, anche se il top resta la cucina kaiseki (stagionale) coniugata alla cerimonia del tè di Kyoto.

Il commissario agli affari culturali Masanori Aoyagi, dopo la decisione favorevole, ha dichiarato: “Faremo ogni sforzo per trasmettere il washoku alle future generazioni”.

Domenica 8 dicembre si è tenuta a Tokyo la prima competizione internazionale, per non giapponesi, di cucina nipponica. il Washoku World Challenge 2013, sotto gli auspici del Ministero dell’Agricoltura e sponsorizzata da Nikkei Business Publications. 106 chef di 21 Paesi hanno chiesto di partecipare e dieci sono stati selezionati per la finale di un evento finalizzato a individuare cuochi di talento in grado di rafforzare l’appeal culinario internazionale del Made in Japan. “C’è un limite alle possibilità chela cucina giapponese sia promossa all’estero dai soli giapponesi - afferma il presidente del Washoku World Challenge, Yuzaburo Mogi -per diffondere il messaggio su quanto sia notevole la cucina giapponese ai popoli del mondo, abbiamo bisogno di cuochi di diversi Paesi, in grado anche di comprendere i gusti locali. Un po’ come è successo in Giappone per la cucina francese e italiana: all’inizio, era per occasioni speciali, poi è diventata un fenomeno di massa anche grazie ai cuochi giapponesi che si sono recati in Europa per imparare e poi hanno aperto numerosi ristoranti in Giappone che offrono autentica qualità europea in una atmosfera rilassata”.  Ha vinto uno chef di Singapore, Li Kwok Wing, che opera al “Santaro Japanese restaurant” della città-Stato: sarà, per usare le parole di Mogi, un “missionario” del washoku.

 

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