Food24

La parabola del Verdicchio: così è diventato il bianco più…

  • Abbonati
  • Accedi
(none)

La parabola del Verdicchio: così è diventato il bianco più conosciuto

Dal quasi oblìo alla posizione di vino bianco italiano più conosciuto. E’ la parabola del Verdicchio, il vino autoctono per eccellenza della regione Marche che dal quasi anonimato seguito a una prima fase di notorietà (a cavallo degli anni ‘70 e ‘80 quando per molti era il vino nell’anfora) ha saputo risalire investendo su se stesso e sulla propria promozione fino a diventare, come certificato da una ricerca di Wine Monitor-Nomisma (e che verrà presentata nel dettaglio al Vinitaly di Verona) il vino bianco più conosciuto dal pubblico italiano.

Il primato certificato da Wine Monitor

Secondo i dati della ricerca sulla brand awareness effettuata dall’osservatorio Nomisma specializzato nel settore del vino, Wine Monitor, su un campione rappresentativo della popolazione italiana infatti il Verdicchio è risultato il vino bianco più conosciuto (l’ha citato il 77% del campione) superando di un’incollatura il Vermentino (il vitigno tipico di Sardegna, Toscana e Liguria conosciuto invece dal 76% degli intervistati). Nella classifica al terzo posto si è posizionata la Vernaccia e il Tocai friulano (entrambi con il 66%, anche se in quest’ultimo caso non si chiama più Tocai da anni ma solo Friulano). A seguire la Falanghina (conosciuta dal 62% degli intervistati) e poi un altro campano il Fiano (46%), l’altoatesino Traminer (43%), l’emiliano Pignoletto (38%) e poi il Pecorino (il vitigno condiviso da Abruzzo e Marche) con il 37%.

Un percorso di rilancio all’insegna della regìa unica

Un risultato quest’ultimo di grande rilievo che giunge al termine di un lungo percorso di rilancio effettuato all’insegna della regìa unica. “Oggi si parla tanto del maxi consorzio dei consorzi toscani – dice il direttore dell’Istituto marchigiano di tutela, Alberto Mazzoni – noi nel nostro piccolo (ma e neanche tanto piccolo considerati i 18 milioni di bottiglie di Verdicchio prodotte in media), su questa strada siamo impegnati già da anni”. L’Istituto marchigiano di tutela oggi riunisce ben 16 denominazioni regionali, 12 Doc e 4 Docg (oltre al Verdicchio nelle varie tipologie “superiore”, “di Matelica” o “dei Castelli di Jesi”, sono rappresentati dall’Imt anche il Rosso Conero, la Passerina, il Pecorino, la Lacrima di Morro d’Alba e altri). “Abbiamo cominciato il lavoro di aggregazione – aggiunge Mazzoni – nel lontano 1999. E dai primi 19 pionieri siamo arrivati a mettere insieme 780 aziende produttrici. La produzione in oltre 15 anni è calata ma il fatturato da noi rappresentato da alcune decine di miliardi di lire nell’era pre euro è arrivato oggi a quota 144 milioni”

Restyling e promozione

Questo lungo processo di rilancio ha avuto due parole d’ordine: restyling e promozione. “Io sono convinto che lo stato di salute di una denominazione – dice ancora il direttore dell’Imt – non sia legato al giro d’affari o alla produzione in sé ma alla propensione a investire. Innanzitutto per ristrutturare i vigneti (e il Verdicchio tra il 2010 e il 2015 ha ristrutturato 373 ettari di vigneto, 103 solo nell’ultimo anno) e poi per ammodernare le cantine e per promuovere i propri brand sui mercati. Perché se i viticoltori investono, con interventi a valere sui prossimi 25 anni, significa che nel loro prodotto ci credono”.

Investimenti realizzati con il contributo di Bruxelles

Secondo le cifre dell’Imt oltre gli importanti interventi tra i filari nel 2015 sono stati investiti 2,8 milioni per favorire l’innovazione tecnologica in cantina. “E poi c’è il capitolo promozione – aggiunge il direttore -: nel 2015 abbiamo speso 6,14 milioni di euro con la misura promozione prevista dall’Ocm vino ai quali vanno aggiunti altri 7 milioni di euro con la misura 1.33 del Piano di sviluppo rurale delle Marche. L’aspetto più importante della nostra aggregazione – dice ancora Mazzoni – è che in questo modo molti piccoli produttori hanno avuto accesso a mercati sui quali con le sole loro forze non sarebbero mai arrivati. Siamo riusciti a spingere le aziende a non ragionare più in termini di contrapposizione, ma a convincerli che insieme si può fare un importante tratto di strada. Adesso dobbiamo compiere l’ultimo miglio. Dobbiamo lavorare per incrementare gradualmente il prezzo del nostro Verdicchio, per remunerare quella qualità diffusa delle produzioni che ci viene oggi riconosciuta, e per rafforzare le posizioni sul mercato interno. Perché il mercato interno prima o poi ripartirà e quando lo farà ci deve trovare pronti”.

© Riproduzione riservata