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Le coop romagnole alla conquista della Corea con una catena di wine bar

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Vino

Le coop romagnole alla conquista della Corea con una catena di wine bar

Con il Sangiovese in prima fila, il Trebbiano, il Pignoletto e l’Albana a ruota, i vini Doc e Igt della Romagna scalzano all’estero anche etichette maggiormente blasonate. Da sei anni la crescita oltreconfine non si ferma. A un incremento del 15% nel 2012 è seguito un ulteriore balzo del 10% nel 2013. A conti fatti oltre il 50% in più, nell’ultimo lustro, contro una media nazionale del 33%. Il segreto del successo è un buon rapporto tra qualità e prezzo. “I mercati – dice Ruenza Santandrea, numero uno della cooperativa Cevico, di Lugo, in provincia di Ravenna – si stanno accorgendo di noi”. Cevico è una delle due ammiraglie delle imprese del settore in Romagna (l’altra è Caviro). Con un fatturato di 150 milioni di euro, in crescita del 17%, e oltre 5mila soci viticoltori,  questa coop del vino continua la propria espansione nel lontano Oriente, dal Giappone alla Corea del Sud, dove ha aperto una catena di wine bar (sono già quattro, entro l’anno è prevista l’apertura del quinto punto vendita, sempre in Corea del Sud). Presente anche in Cina e in Russia, è uno dei pezzi da novanta di una rete di 80 cantine sociali e di una miriade di piccoli viticoltori che marciano sempre più spediti oltreconfine. A partire da mercati storici, come quello degli Stati Uniti, della Germania e della Gran Bretagna, per arrivare ad Africa, America del Sud, Thailandia, Singapore. Tanto che la produzione destinata  all’estero ha ormai superato il valore dei 400 milioni di euro. “Credo – dice Tiberio Rabboni, assessore all’Agricoltura dell’Emilia Romagna – che il comparto possa continuare a guardare con fiducia al futuro, anche alla luce di una nuova Pac  che ha confermato i fondi per il settore, respinto la liberalizzazione dei diritti d’impianto, esentato i viticoltori dall’obbligo del greening, ampliato le possibilità di promozione”.

Della spinta sui mercati esteri si è parlato ad una tavola rotonda organizzata a Faenza (tra i partecipanti anche Paolo De Castro, presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo). L’export, di fronte alla progressiva erosione della domanda domestica, sta diventando anche per i produttori romagnoli, l’architrave dello sviluppo. Ormai il mercato interno soddisfa solo circa il 50% della produzione. E il peso delle esportazioni sui ricavi del settore è destinato a diventare sempre più preponderante. “Adesso – aggiunge Santandrea – dobbiamo trovare il modo migliore per rafforzare i nostri presidi oltreconfine, anche nei mercati più lontani, cercando di saldare tradizione e globalizzazione. Ed è la forza dei numeri che ci dice che dobbiamo puntare sempre di più sull’internazionalizzazione”. Circa la metà della produzione totale, pari a 4 milioni di ettolitri all’anno, è infatti ormai assorbita da una domanda estera che premia la qualità a un prezzo competitivo. Una richiesta sostenuta da un massiccio investimento, con la partecipazione a 46 fiere di settore, tra Brasile ed Europa dell’Est. “Questo – prosegue Rabboni – grazie alla forte crescita qualitativa sui campi e nelle cantine ma  anche alla capacità organizzativa  e commerciale, unite a una forte identità territoriale”.

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