Mangiare da uno chef stellato costa tanto, soprattutto in Francia. Il modo per saggiarne la cucina e la sala senza incorrere nel conto più salato c’è, ed è andarci a pranzo, quando sono disponibili menù fissi a prezzi un po’ più contenuti.
Per un esperimento speculativo lo abbiamo testato sulle due grandes dames dell’alta ristorazione francese: Hélène Darroze e Anne-Sophie Pic. Chi vive o transita a Parigi può mettere a confronto le filosofie delle cuoche cresciute intorno ai fornelli dei ristoranti di famiglia: “Chez Darroze” di Villeneuve-de-Marsan, in Aquitania; e “Maison Pic” a Valence, sul Rodano. Nella capitale, Hélène Darroze a Saint-Germain-de-Prés e La Dame de Pic a un passo dal Louvre si fregiano di una stella Michelin; le entrate sono understated in entrambi i casi, per poi rivelare spazi interni molto più ampi di quel che si possa immaginare dalla strada.
Hélène Darroze
Il ristorante della Darroze, posto al piano sopra a quello dell’accoglienza – dove si può mangiare qualcosa di veloce in un salotto su cui si affaccia una cucina (e i bagni) – gioca sui colori scuri e morbidi del vinaccia e del cuoio. Sul parquet risuonano i tacchi dello staff che alterna – a seconda delle personalità di ogni individuo – autentica cortesia, indifferenza, e quello che si può solo chiamare scazzo francese.
Il menu arriva incastonato in un pesante leggio di plexiglass (paraspruzzi?); a seconda di quanto si vuole spendere si compone di un certo numero di piatti: l’entrata del giorno, un “prodotto” della carta, il dessert del giorno sono 38 euro; due entrate lo portano a 56. E così via. Peccato che i piatti estemporanei non siano sul menu e vengano solo enunciati a voce, dando meno tempo e possibilità di riflessione all’avventore.
Per gli amuse-bouche viene portata accanto al tavolo una affettatrice a volano (in questo periodo troneggiano in ogni bistrot à la mode) per la somministrazione di un ottimo jamon serrano. Un ingiustificabile spork, poggiato a segnare il coperto, viene fortunatamente portato via.
La Darroze ama le carni, il pimento di Espelette, le riduzioni corpose, i topinambur e i tartufi. La sua selezione di formaggi è giustamente rinomata, e a 15 euro praticamente regalata. Quella degli Armagnac, che attira appassionati da tutto il mondo, saluta e seduce gli ospiti da un tavolo posto all’entrata della sala da pranzo: grandi bottiglie soffiate a bocca, con tappi in ceralacca ed etichette scritte a mano che riportano date del XIX secolo.
Un buon pranzo che si distingue per la perfetta portata di capriolo (anzi, l’idea platonica di filetto di capriolo) e l’affabilità del sommelier italiano. Alla fine della fiera, il conto per due menu da 38 euro, con due bicchieri di Pol Roger e uno di Condrieu, un supplemento formaggi, acqua e caffé, è di 160 euro. Risparmiare va bene, ma come si fa non farsi trascinare da un minimo di entusiasmo?
Nei giorni feriali il menu entry-level è di 49 euro; più esaustivi quelli da 80, 105 e 125 euro. Ma ordinare chez Madame Pic non è così semplice: c’è il concept.
I menu sono organizzati come dei viaggi attraverso una suggestione olfattiva, proposta con dei cartoncini profumati da cui – idealmente, senza altro sapere cosa bolle in pentola nella cucina a vista ma sigillata da pareti di vetro – bisognerebbe evincere cosa si vuole mangiare. È inevitabile però che quei tester ricordino di più le pubblicità delle varie eau de cologne che ispessiscono le riviste di moda che uno sformato di funghi o una triglia con lenticchie. Sono odori dolci, da flacone firmato, che infastidiscono l’operazione invece di aumentarne l’esperienza.
Comunque basta chiedere un menu scritto (e di portare via i cartoncini ammorbanti) ché si potrà procedere nella scelta con la dovuta cognizione di causa tra “foglie d’autunno”, “aromatico speziato”, “scoperta asiatica”.
Anne-Sophie Pic
La cucina di Anne-Sophie Pic è più leggera, fresca e sofisticata della sua collega dell’ovest. L’ostrica su gelatina di prezzemolo e cetriolo con emulsione allo yogurt accende tutti i sensi. Il dessert di fico nero e cioccolato sembra un gioiello da sfoggiare all’opera.
Anche qui, pur bevendo con circospezione, il conto raddoppia in un attimo se ci si vuole dissetare.
La sfida tra Hélène e Anne-Sophie continua, ma con un terzo incomodo: la giovane Adeline Grattard di YamT’cha, sullo stesso isolato della Pic, girato l’angolo.
Di lei e della nuova leva di chef “indipendenti” e capitanati da Inaki Aizpitarte parleremo la prossima settimana.
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