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Le quattro cose che ci ha insegnato Tachis

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Storie di eccellenza

Le quattro cose che ci ha insegnato Tachis

Addio a Giacomo Tachis, padre nobile dell’enologia italiana. E’ scomparso nei giorni scorsi a 82 anni l’enologo considerato una delle figure chiave del vino italiano. Forse non molti conoscevano il suo nome, ma molti, moltissimi conoscono etichette come Sassicaia, Tignanello, Solaia, solo per citare forse i tre brand più famosi che questo piemontese innamorato della Toscana (e poi di Sicilia e Sardegna) aveva creato.
Il suo contributo più importante è probabilmente stato quello di andare oltre il legame con la terra d’origine, che spesso in settori come il vino si rivela più che una forza, una debolezza. Lui invece, piemontese, aveva dato lustro ad aree sottovalutate della Toscana come il territorio di Bolgheri, nel Nord Ovest della regione, fino ad allora conosciuto solo per i cipressi citati da Carducci.

L’uvaggio bordolese

Ma non è stato solo un valorizzatore delle potenzialità dei territori. E’ stato soprattutto un innovatore, il primo a intuire le potenzialità dell’uvaggio bordolese (Merlot-Cabernet) in terra Toscana e poi passare alla creazione di prodotti mixando («sono un mescolatore di vini» amava dire) uve autoctone (come il sangiovese) con quelle internazionali.
E’ grazie a innovazioni come queste che si è potuto dare il “la” a quello che poi è stato riconosciuto come il “rinascimento del vino italiano”. Ma la storia di Tachis e il bagaglio di innovazioni che ha portato con sé non si sono fermati solo alla riscoperta di territori e alla loro inedita interazione con i vitigni. Prima nel vigneto e poi in cantina è stato promotore di novità come la selezione clonale, la riduzione delle rese produttive (in anni in cui molti la consideravano un’eresia) e ancora la fermentazione malolattica o il ricorso all’invecchiamento in botti di piccola dimensione (sullo stile francese).

Parlano i prodotti che ha inventato

E sulla scorta di queste intuizioni sono nati brand che hanno fatto la storia del vino italiano sganciandolo definitivamente dall’immagine di prodotto da taglio e legato alle quantità, e restituendogli invece un’immagine sempre meno distante dall’allure dei cugini francesi. Già nei primi anni ’60 comincia la sua collaborazione con Antinori, un connubio dal quale nasceranno Tignanello e Solaia. «Il Solaia nasce nel 1978, quasi per caso – ha ricordato l’ad di Antinori, Renzo Cotarella fratello del presidente degli enologi, Riccardo – da una costola del Tignanello. C’era troppo cabernet, quell’anno, e tutto di ottima qualità: perché non vinificarlo a parte? Fu l’intuizione di Giacomo Tachis, allora maestro di cerimonie delle Cantine Antinori».
E negli anni ’60 nasce anche Sassicaia forse il vino italiano più famoso al mondo. Tachis aveva infatti cominciato a collaborare proprio alla fine degli anni ’60 con il marchese Mario Incisa della Rocchetta a Bolgheri (in un’azienda che fino ad allora era conosciuta soprattutto per l’attività di allevamento ippico dove erano passati campioni come Ribot) con l’obiettivo di creare un vino in grado di competere con i brand francesi.

In anni più recenti la scommessa sulle isole

Dopo aver creato etichette divenute nel giro di pochi anni brand famosi in tutto il mondo le ultime scommesse di Giacomo Tachis sono state in altre due aree italiane di grandissime potenzialità: Sardegna e Sicilia dove ha collaborato rispettivamente con Argiolas (creando Turriga) e Agricola Punica in Sardegna e Donnafugata in Sicilia (dove ha introdotto la vendemmia notturna) oltre a brand storici come Duca di Salaparuta e Florio.

Martina: con Tachis il mondo del vino perde un maestro

«Con la scomparsa di Giacomo Tachis – ha detto il ministro per le Politiche agricole, Maurizio Martina – il mondo del vino perde uno dei suoi più importanti maestri. Protagonista indiscusso del rinascimento del vino italiano, ha saputo reinterpretare il ruolo stesso dell’enologo. Un uomo di grandissima cultura che ha fatto della qualità una pratica quotidiana, diventando un punto di riferimento per le nuove generazioni di enologi. Se oggi il vino italiano è riuscito a raggiungere certi traguardi – ha concluso il ministro – è anche per merito di uomini come Giacomo Tachis e Luigi Veronelli che, in anni duri, hanno saputo accompagnare il rilancio di questo settore. Dobbiamo fare in modo che la loro eredità possa essere uno stimolo a fare sempre meglio».

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