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Storie di eccellenza

Niko Romito: legati al territorio ma senza che diventi "un limite creativo"

“Il compito di noi cuochi è quello di attualizzare la cucina regionale, il territorio non deve essere un limite creativo ma uno sprone a contaminarsi con quelli vicini, anche stranieri”. E’ un Niko Romito all around the world quello che è venuto a ritirare uno dei premi più illustri (e simpatici) del settore: “Roero: orti e frutteti. Un paesaggio di casa”, omaggio assegnato annualmente dall’Enoteca del Roero, diretta da Luciano Bertello.  Niko entra in un albo prestigioso, visto che solo pochi mesi fa a Canale – sede della manifestazione – c’era il n.1 René Redzepi (per l’edizione 2013, celebrata in ritardo) e negli anni precedenti erano venuti Michel Bras, Alain Ducasse e altri ancora. Per la cronaca, Romito è il secondo italiano – e il primo chef – a ricevere il “tagliere” simbolo del premio visto che il solo Antonio Santini l’ha conquistato.

Il riconoscimento dell’Enoteca del Roero

Al racconto della sua storia di autodidatta quasi totale che rileva la trattoria per turisti del padre, fermato da una malattia (“Sono certo che senza la perdita di papà, non avrei mai fatto il cuoco” confessa) e in meno di quindici anni conquista le tre stelle, Romito ha aggiunto i suoi ragionamenti sulla cucina italiana. Una cucina che in realtà non è stata ancora codificata per la mancanza di cuochi-imprenditori del calibro di un Ducasse o di un Robuchon. “Quando tu apri una serie di locali per il mondo, sei costretto a ragionare su quei dieci-quindici piatti che devono essere perfetti e identici dalla Cina a New York: gli stranieri più bravi ci sono riusciti, noi abbiamo ancora un’idea della cucina italiana fatta dalle versioni antiche dei piatti regionali più diffusi, spesso pure preparati male. E’ tempo di fare un salto decisivo, anche perché oggi la generazione di cuochi da 35 a 55 anni è coesa, senza gelosie e molto preparata”.

Enzo Vizzari e Niko Romito

Attualizzare le ricette regionali

Ed è pure tempo di liberarsi alla memoria, per Niko. “Bisogna rispettare le tradizioni, per carità. Ma anche attualizzare ogni ricetta regionale per renderla più leggera, buona e gustosa. Quando dicono che i cannelloni della nonna erano i migliori di ogni tempo, io penso sempre che se li proponessi in quel momento nello stesso modo non li mangerebbe nessuno. Sia chiaro, non voglio stravolgere il piatto storico ma non è intelligente servirlo nello stesso modo: abbiamo tecniche ed esperienza per realizzarlo meglio”. Poi tanto spazio a Spazio, il progetto di scuola che inserisce i suoi allievi (“colti più della media, ho un 40% di laureati che si rimettono in gioco” spiega) direttamente nelle cucine del vecchio Reale, di Eataly a Roma e in estate al relais di Capofaro. E in futuro chissà. “Studio e ricerca contano per l’80% nella formazione di un cuoco, il resto è talento che va guidato, all’interno di regole, per non rovinarlo. Detto questo, la tivù se da un lato ha generato mostri, dall’altro ha permesso di far capire il nostro lavoro e di creare attenzione incredibile, a tutti i livelli”.

Giovani chef più colti e coesi

Palazzo Parigi? Doveva debuttare sulla piazza milanese e invece niente. “Non abbiamo trovato la quadra, ma ho creato un bel rapporto. A me Milano interessa sempre, eccome. Forse più per un altro Spazio che per una mia presenza. Già se non avessi mia sorella Cristiana perennemente a lavorare a Castel di Sangro, non potrei essere qui oggi…” Applausi a scena aperta, prima di celebrare degnamente Niko con un pranzo all’Enoteca dove lo chef-patron Davide Palluda aveva “chiamato” quattro bravi colleghi e amici quali Maurilio Garola, Guido Alciati, Massimo Corso e Maurizio Dellaferrera per offrire un trionfo di piemontesità, bagnato dai vini bianchi e rossi del “giovane” Consorzio di Tutela del Roero. Piatti (eccellenti) di cucina regionale attualizzata – come piace a Romito – anche se gustando la versione 2015 dell’uovo in pasta di Nino Bergese con tartufo bianco viene da pensare che in qualche caso quella l’avanguardia è talmente “avanti (è un piatto creato una cinquantina di anni fa) che necessita davvero di un ritocco minimo.

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