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Non furono i Fenici ma i sardi i primi a coltivare la vite. Ecco come si…

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Non furono i Fenici ma i sardi i primi a coltivare la vite. Ecco come si è scoperto

I vitigni più antichi del Mediterraneo occidentale si trovano in Sardegna e appartengono al cultivar della vernaccia e della malvasia. E’ la recentissima scoperta dell’équipe del Centro per la Conservazione Biodiversità dell’Università degli Studi di Cagliari. Sino ad oggi, i dati archeobotanici e storici attribuivano ai Fenici e successivamente ai Romani il merito di aver introdotto la vite domestica in questa parte del Mare Nostrum, ma la scoperta di un vitigno coltivato dalla civiltà nuragica riscrive, non solo la storia della viticoltura in Sardegna, ma dell’intero Mediterraneo occidentale.

Entrano in azione i paleobotanici

Tutto ha inizio una decina d’anni fa, quando gli scavi per la costruzione di una strada provinciale nella provincia di Oristano, a Sa Osa (Cabras), portano alla luce un sito archeologico risalente all’epoca nuragica. Le diverse strutture restituite alla luce nascondevano un tesoro biologico, ovvero dei pozzi scavati nella roccia dagli abitanti preistorici per conservare gli alimenti. Di altezza tra i 4,5 e i 6 metri, erano dei veri e propri ‘protofrigoriferi’ che hanno trasmesso integri fino a noi diversi materiali organici, vegetali e animali, destinati all’alimentazione: non solo i semi di vite, ma anche noci, nocciole, semi di fico, pigne da pinoli, leguminose, carne di cervo, pesce… Da questa scoperta è partito il lavoro dei paleobotanici del Centro per la Conservazione Biodiversità e solo un lungo e paziente lavoro di ricerca ha portato ai risultati pubblicati pochi giorni fa.

Semi perfetti dopo millenni

“L’eccezionalità di questa scoperta – dichiara Gianluigi Bacchetta, direttore scientifico del Centro Conservazione Biodiversità – è anche lo stato di conservazione di questi prodotti: praticamente perfetti, grazie all’assenza di ossigeno e alla forte umidità. I semi sono arrivati a noi così come sono stati posti nei pozzi”.
In collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano, gli oltre 15mila semi di vite ritrovati nel sito nuragico, sono stati poi datati al Carbonio14 come risalenti a circa 3.000 anni fa, periodo di massimo splendore della civiltà nuragica, scoprendo così che la viticoltura come la conosciamo noi oggi era già nota ai nostri antenati ben prima dell’arrivo di Romani e Fenici.

Antenati della Vernaccia

“Non solo – continua Bacchetta. Grazie alla perfetta conservazione si è potuto risalire anche alle varietà. In alcuni pozzi i semi appartenevano alla vite silvestre, pianta autoctona attualmente presente in Sardegna, mentre altri portavano già caratteri intermedi tra questa e le moderne cultivar di vitis vinifera. In particolare questi sembrano appartenere alle cultivar a bacca bianca, mostrando forti relazioni con le varietà di vernacce e malvasia coltivate ancora oggi proprio nelle aree della Sardegna centro-occidentale, nell’oristanese”. Gli antichi sardi quindi conoscevano la domesticazione della vite e la viticoltura, resta da stabile se conoscessero anche la vinificazione. “La nostra ricerca prosegue in questa direzione. Vicino a Monastir, in provincia di Cagliari, è stato trovato un antico torchio nuragico, età del bronzo quindi, probabilmente utilizzato per fare il vino. Ma bisogna essere cauti. In Sardegna abbiamo un enorme patrimonio archeologico accumulato nelle strutture museali, ancora da studiare per capire la paleodieta, le coltivazioni, le conoscenze dell’epoca che erano molto avanzate rispetto a quello che pensiamo noi. Non dimentichiamo che la Sardegna era al centro di una grande rete di traffici che portava il vino sardo, e non solo quello, da una parte all’altra del Mediterraneo tra il primo e il secondo millennio prima di Cristo”. Un’attività vitivinicola fiorente testimoniata dal ritrovamento di anfore vinarie da trasporto provenienti dalla Sardegna, le cosiddette «zit a», un po’ dappertutto nel Mediterraneo occidentale, fino a Cartagine.
Prossimo passo consisterà quindi nel mettere in connessione l’enorme patrimonio archeologico sardo per approfondire usi e costumi alimentari di questa antica popolazione e stabilire le relazioni con quelli attuali, in sinergia con la Banca del Germoplasma che raccoglie, studia e classifica tutti i taxa vegetali endemici, rari, minacciati della Sardegna.

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