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Norbert Niederkofler: così porto la natura nel piatto

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Storie di eccellenza

Norbert Niederkofler: così porto la natura nel piatto

«La cucina? E’ l’ambiente più importante della casa, è il posto in cui quasi tutti passiamo la maggior parte del nostro tempo quando siamo tra le mura domestiche. E’ il luogo caldo in cui, anche quand’ero ragazzino, c’era sempre tanta gente, è un luogo di contatto: spesso le decisioni più importanti sono sempre prese attorno ad un tavolo, a volte spoglio, spesso apparecchiato ed imbandito. Ed io è lì che ho sempre voluto stare, con la mia famiglia prima, con i miei clienti adesso».

In poche parole Norbert Niederkofler, chef del ristorante St. Hubertus, due stelle della Guida Michelin, fiore all’occhiello dell’Hotel Rosa Alpina in Alta Badia, spiega com’è nata la sua passione e da dove si alimenta. La famiglia il suo punto di riferimento, ieri, oggi.

«Ho vissuto un’infanzia bellissima. La mia famiglia era molto unita, ed io ero coccolato dai miei genitori e dalle mie 4 sorelle. Sarei potuto diventare un’atleta. Andavo forte sugli sci, ero molto bravo, vincevo gare, a volte le perdevo e lo sport in quegli anni è stato una splendida scuola che mi ha permesso di affrontare la vita con la consapevolezza che le delusioni sono parte del nostro cammino, ma che vanno affrontate e superate, sempre, anche quando sono le persone da cui meno te l’aspetti a deluderti. Quando sciavo e vincevo tutti parlavano bene di me, poi bastava arrivare quarti una volta, per passare dalla ribalta alla polvere. E’ così nello sport, è così nella vita, e bisogna sapersi rialzare».

La vita che non sai mai cosa sta per riservarti.

La mia è cambiata radicalmente a 16 anni, quando mio padre è morto improvvisamente. Avevamo un piccolo negozio di alimentari ed un alberghetto. Le cose funzionavano. Io ho sempre vissuto in mezzo ai clienti, in mezzo alla gente. Ho imparato fin d’allora l’arte della relazione. Senza mio padre, però le cose cambiarono di colpo. Mia madre ci lasciò liberi di scegliere cosa fare delle nostre vite, quali strade seguire, senza obbligarci a dare continuità ai progetti che lei e papà avevano cominciato a realizzare. Io scelsi la scuola alberghiera e scelsi di farla in Germania, perché credevo di poter avere più opportunità di lavoro grazie alle aperture internazionali che si respiravano in quel paese.

Ed una volta finita la scuola?

Mi sono trasformato in un giramondo. Ho sempre avuto la passione per i viaggi, ma non avevo soldi per poterli fare, per poter andare dove mi sarebbe piaciuto andare. Così cominciai ad unire l’utile al dilettevole, a scegliere i ristoranti in cui fare esperienze di lavoro, ma scegliendo anche con cura i posti in cui si trovavano. E’ stato un periodo fantastico della mia vita. Ho girato il mondo in lungo ed in largo. Inghilterra, Germania, Stati Uniti, Austria. Ho vissuto con gli Indiani d’America, sono stato in Nepal. Ed ogni posto che ho visitato, ogni luogo in cui ho vissuto, ha aggiunto un tassello alla mia storia personale, sia umana che professionale.

Quello è stato un momento, un passaggio obbligato per salire ad un livello diverso di consapevolezza, il guado tra la mia famiglia d’origine e la mia famiglia d’arrivo, tra mio padre, mia madre e le mie sorelle e mio figlio che oggi ha cinque anni. E’ lui in questo momento il mio punto di riferimento. Sono convinto che ogni passo, ogni gradino, nella nostra vita abbia un senso. Le cose succedono sempre quando devono succedere e ti portano ad essere ciò che sei.

Ed oggi chi è Norbert Niederkofler?

E’ un uomo cui la cucina ha completamente cambiato la vita. Dal mio ristorante sono passati e passano personaggi straordinari. Elon Musk, il fondatore di Tesla Motors, Marc Zuckerberg e tanti altri che nemmeno sto a ricordare. Li ho catturati, li ho portati dalla mia parte, li ho presi per la pancia, ho regalato loro emozioni e loro mi hanno regalato la loro amicizia. E’ gente interessante che ha cambiato e sta cambiando il mondo e che, se non avessi fatto ciò che faccio non si sarebbe mai accorta di me. Ma la cucina mi concede questi privilegi ed è giusto che io le dedichi tutta la mia passione.

Da dove prende spunto?

Nei miei viaggi ho incontrato grandi chef, su tutti David Bouley a New York. Lui è sempre stato uno molto avanti nel modo di pensare e d’interpretare il cibo, di vederlo in ottica salutare, un’ottica che si sta affermando sempre di più nel corso di questi ultimi anni. E poi c’è stato Eckart Witzigmann a Monaco di Baviera. E’ stato il primo a prendere tre stelle al di fuori del territorio francese, è stato un rivoluzionario della gastronomia, è stato tanto rivoluzionario nella gastronomia quanto nella vita. Quando ha compiuto sessant’anni gli hanno organizzato una festa in cui c’erano sessantaquattro cuochi che negli anni avevano lavorato da lui e che avevano ottenuto una stella dalla Michelin, genio e sregolatezza, esperienze straordinarie e drammi legati alla droga.

E qual è stato il vero maestro?

S’impara tanto da tutti, non credo di poter dire di aver avuto un vero maestro. Poi, quello che prendi dagli altri, va a combinarsi con il tuo modo di pensare, di vedere le cose. Ognuno di noi deve trovare la propria strada, tirar fuori ciò che è importante importanti per se stessi, che rendono interessante la propria vita. E tutto questo per me, in campo gastronomico si traduce nella massima attenzione al prodotto, alla materia prima. Il prodotto è più importante del cuoco. Così dopo anni di cucina spagnola, dopo anni in cui grazie a Ferran Adrià si è badato tantissimo alla tecnologia, al modo di cucinare, di preparare i prodotti, io ritengo che la direzione più giusta da seguire sia un’altra: la tecnica deve essere usata per portare la natura nel piatto.

Ci spiega meglio cosa vuol dire?

La natura ci fornisce tutto ciò di cui abbiamo bisogno e ce lo presenta nella maniera ideale. Pensate ai colori, ai colori diversi a seconda delle stagioni, ai prodotti diversi a seconda dei momenti dell’anno. Quando penso al Natale sento il profumo dei mandarini, posso avvertirne il sapore, l’aroma che ci regalano. Questa è la natura. Noi dobbiamo usare le tecniche di cucina per portare tutto questo nei piatti e sorprendere con la semplicità coloro che li assaggiano. I miei menù cambiano al cambiare delle stagioni, perché diversi sono i prodotti che utilizzo. C’è uno studio straordinario della materia prima e si cerca sempre di utilizzarla tutta perché anche il produttore ha le sue esigenze e bisogna comprenderle, se del maiale prendessi solo il filetto, cosa ne sarebbe delle altre parti?

I mie piatti raccontano storie e sono storie legate al mondo che ci circonda. Io vivo in montagna ed racconto quella, ma se fossi al mare… Per questo racconto la trota di fiume usandone la carne, il caviale e la pelle e la condisco con olio di aneto, perché da noi in montagna non c’è la cultura dell’olio di oliva. Racconto il tramonto delle dolomiti, un dolce estivo composto da tutti frutti di bosco. Racconto il fiume d’inverno. Ogni piatto è una fotografia della natura che interpretiamo e che riportiamo in tavola.

E cosaltro bolle in pentola?

I progetti non mancano mai, come il mio Cook The Montain che parla del cibo di montagna come risorsa e patrimonio del territorio, come passione, conferendo al cuoco il ruolo di “educatore emozionale”. Abbiamo creato un laboratorio di ricerca sulla gastronomia di montagna con un calendario di eventi che racconti cibo e cultura della montagna al pubblico. E poi a gennaio nascerà “Care’s” un progetto che ha lo scopo di radunare chef e persone da tutto il mondo che condividono la stessa visione: un approccio innovativo, sostenibile ed etico al cibo. Parteciperanno venti nazioni da tutti e cinque i continenti, ci saranno trenta chef e giornalisti invitati da tutto il mondo ed un pubblico selezionato di circa cinquecento persone che parteciperà ai quattro giorni di eventi. Grazie a questo progetto negli anni scorsi abbiamo già regalato 250mila euro in beneficienza. Da quest’anno, invece, creeremo delle borse di studio per i giovani che entrano nel nostro mondo, in quello della gastronomia. Perché è su di loro che dobbiamo scommettere. E’ ora di dare qualcosa indietro di quanto abbiamo ricevuto. I giovani, tanto criticati, meritano di essere aiutati, noi siamo pronti a dargli una mano.

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