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Olio di palma: nella querelle infinita ecco le ragioni dei pro e contro

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Olio di palma: nella querelle infinita ecco le ragioni dei pro e contro

E’ l’ingrediente più discusso e controverso di questo periodo. Tra chi è a favore e chi contro, l’olio di palma continua a dividere la comunità scientifica e soprattutto i consumatori, sempre più disorientati dall’alternarsi di allarmismi e rassicurazioni. Fa bene, no fa male, no non fa niente, è uscito uno studio che sì e un’altro che no. Quel sembra certo è invece che nemmeno tra gli esperti ci sia accordo. Anche un recente studio dell’Università Statale di Milano in collaborazione con l’Università dell’Aquila ha da poco riaperto il dibattito, affermando che alcuni derivati della vitamina E in esso contenuti aiuterebbero nel combattere alcuni tipi di cancro.
Aspettando di risolvere il quesito – e sotto la spinta della pressione popolare – catene della distribuzione e aziende alimentari hanno così deciso di eliminarlo dagli assortimenti e da molti prodotti, provando a cercare un’alternativa, dal mais all’oliva. Ma è davvero più sana l’alternativa?

Consistenza solida a temperatura ambiente

Un convegno nella giornata conclusiva del Salone del Gusto ha provato a riprendere le fila: “Olio di palma: facciamo chiarezza”, cui hanno partecipato studiosi ed esperti di vari atenei, sotto la supervisione dell’area Ricerca dell’Unisg. “I grassi vegetali presenti sul mercato – spiega Dario Bressanini, chimico e divulgatore scientifico – sono composti dagli stessi acidi grassi di base, ma in percentuali diverse. Quindi non esiste la molecola dell’olio di palma distinta da quella dell’olio di oliva”. Ci sono, però, degli utilizzi tecnologici dei grassi in base alle loro composizioni, per cui serve un grasso solido per alcune preparazioni alimentari e uno liquido per altre.
L’elevato contenuto di grassi saturi conferisce, infatti, all’olio di palma consistenza solida a temperatura ambiente, cosa che lo fa preferire nell’industria alimentare e non solo per innumerevoli preparazioni.

L’olio vegetale più usato al mondo

Secondo i dati a dicembre 2015 della Oil World, oggi quello di palma è l’olio vegetale più usato al mondo (35% del totale), seguono quello di soia (circa 27%), colza (circa 14%), girasole (8%) e oliva, che rappresenta l’1% del mercato degli oli vegetali. In Italia nel 2015 se ne sono importate, per usi alimentari, 386mila tonnellate: 10 anni fa, nel 2005, erano 325mila (dati Istat). Di questa quantità, circa il 25-30%, riprende la strada dell’estero, visto che i prodotti in cui viene utilizzato sono uno dei vanti del Made in Italy richiesti un po’ in tutto il mondo.

Il problema generale dei grassi saturi

“Il vero problema emerso dal convegno – afferma Michele Fino, docente di diritto alimentare e coordinatore dell’area alimentare dell’Unisg, che ha condotto il dibattito – è che l’olio di palma non fa male in sé, ma rientra nel problema più ampio del consumo di grassi saturi nella nostra dieta. Questi, infatti, sono gli unici grassi rispetto ai quali ci sono delle soglie massime raccomandate per non incorrere in problemi cardiovascolari e sviluppo di tumori. Sarebbe meglio che le aziende alimentari si riproponessero di ridurre gli acidi grassi in generale, soprattutto il miristico e il laurico, che sono considerati i peggiori per la nostra salute. La cosa interessante emersa è che nell’olio di palma questi due acidi grassi sono contenuti in modo modesto. Peggio invece l’olio di cocco e il burro di cacao che ne sono saturi”.

Limiti e pregi delle alternative

Cosa succede quindi nell’industria alimentare con la sostituzione dell’olio di palma? “Serve un altro grasso – afferma Fiorenza Caboni, docente di Tecnologie alimentari dell’Università di Bologna – che sia solido a temperatura ambiente. Spesso si usa l’olio di girasole, reso solido con un processo di raffinazione, chiamato intersferificazione. Questo processo non è però privo di conseguenze, poiché trasforma i grassi polinsaturi in saturi. A volte combinandoli in modo che il nostro corpo non li riconosca. Con conseguente allocazione di questi grassi non completamente prevedibile”. La legge, inoltre, non obbliga a indicare questo tipo di trasformazione in etichetta.

Parola al pro e contro

La questione è quindi molto molto complessa. E daigli innumerevoli risvolti. Per provare a capire meglio abbiamo rivolto alcune semplici domande a due nutrizionisti, dalle posizioni diverse. Da una parte, Giorgio Donegani, educatore alimentare, autore di numerose pubblicazioni, docente e dottore. Dall’altra, Chiara Manzi, presidente dell’Associazione per la Sicurezza Nutrizionale in Cucina, docente di nutrizione presso l’Università di Roma Tor Vergata, docente di medicina culinaria presso l’Università di Ferrara, presso l’Istituto Superiore di Sanità, ricercatrice in collaborazione con l’Università di Parma.

Il consumo di olio di palma è davvero dannoso per la salute, soprattutto alla luce del recente parere dell’Efsa?
D. – No, non lo è. Per prima cosa va chiarito che, contrariamente a come è stata presentata, l’oggetto dell’indagine e del successivo rapporto Efsa non è stato l’olio di palma in sé, ma la possibile tossicità di alcuni contaminanti che si possono formare in tutte le sostanze grasse in seguito a trattamenti cui vengono sottoposte. Nello specifico, 3-MCPD, 2-MCPD e GE, i tre contaminanti studiati, si possono formare nelle fasi che avvengono ad alte temperature nella raffinazione di oli e grassi (per l’olio di palma è particolarmente delicata la fase di deodorizzazione). Posto allora che non è l’olio di palma in sé, così come nessun altro degli oli considerati, ad essere nocivo, ciò che bisogna evitare è che durante la lavorazione si formino queste sostanze: è la loro presenza eccessiva a poter costituire un rischio per il consumatore. Peraltro, nel suo rapporto Efsa stessa sottolinea come negli ultimi cinque anni la presenza del contaminante GE nell’olio di palma si sia addirittura dimezzata, grazie a una serie di studi e azioni messe volontariamente in atto dalle aziende produttrici. E la ricerca in questo senso prosegue costantemente. Non c’è dubbio che nel complesso il rapporto di Efsa sia stato male interpretato e presentato, al punto che anche l’Airc è intervenuta sull’argomento olio di palma per riportare i termini del dibattito sui binari della verità scientifica e del buon senso, lasciando perdere approcci di tipo sensazionalistico tesi a suscitare paure incontrollate e comportamenti irrazionali. In sostanza l’Airc sottolinea, con riferimento allo studio di Efsa, come questo evidenzi che la presenza di contaminanti riguardi tutte le sostanze grasse e dipenda molto dalle condizioni di lavorazione (in particolare dalle temperature raggiunte) ed evidenzia come l’Efsa non chieda in alcun modo il bando dell’olio di palma perché è difficile che concentrazioni pericolose siano raggiunte con la normale alimentazione.

M. – L’olio di palma non è dannoso in sé. Fa male perché, ricco com’è di grassi saturi, viene impiegato quasi dappertutto, tanto da farci superare le soglie raccomandate dagli organismi internazionali e nazionali (Oms, Iss ecc.) per stare in salute. I grassi saturi sono fattori di rischio per problemi cardiovascolari, diabete, tumori… L’olio di palma presenta un contenuto di acidi grassi saturi superiore alla maggior parte degli altri grassi usati in alimentazione, quali olio di semi di girasole, olio di soia, che hanno un minor contenuto percentuale di acidi grassi saturi e un maggior contenuto di acidi grassi mono/polinsaturi. Solamente il burro ha un contenuto percentuale di acidi grassi saturi simile a quello dell’olio di palma, mentre l’olio di cocco mostra contenuti ancora superiori. A questo si deve aggiungere il recente studio dell’Efsa che ha evidenziato come quello raffinato, usato dall’industria alimentare, presenta sostanze tossiche cancerogene in misura molto superiore ad altri oli. Uno dei compiti della nostra Associazione è proprio quello di aiutare le industrie a sostituire l’olio di palma nei prodotti. Ci siamo riusciti con molti prodotti e il risultato è eccellente in termini di gusto, shelf life e costi di produzione.

Quanto olio di palma consumiamo in media al giorno in Italia e quali sono le raccomandazioni dei nutrizionisti?
D. – I dati Inran 2005/06 – tra l’altro gli unici disponibili a oggi – offrono ancora oggi una base molto attendibile per analizzare i consumi e le assunzioni di olio di palma da parte della popolazione italiana. Se è vero, infatti, che l’industria alimentare utilizza l’olio di palma ed è anche vero che i volumi complessivi di palma importato in Italia sono aumentati, quello che non viene detto è che le quantità utilizzate dall’industria alimentare negli ultimi 10 anni sono rimaste pressoché costanti. Per quanto riguarda i consumi, i nutrizionisti raccomandano di assumere il 10% dell’energia giornaliera da grassi saturi, i dati Inran indicano che l’intake totale medio di acidi grassi saturi degli italiani è pari a circa l’11%, quindi di poco superiore. Questo 11% è così suddiviso: meno del 20%, ovvero meno di 5 g al giorno, è l’apporto di olio di palma rispetto al totale degli acidi grassi assunti, il rimanente 80% dei grassi saturi viene da altri alimenti.

M. – I dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità il 25 febbraio 2016 indicano che adulti e bambini in Italia consumano troppi grassi saturi. E che di questi la maggior parte è portata dall’olio di palma. Addirittura emerge che i bambini mangiano il 49% di grassi saturi in più rispetto alla quantità consigliata: di questo eccesso il 41% deriva dall’olio di palma. L’assunzione di acidi grassi saturi sia da alimenti contenenti olio di palma aggiunto che da alimenti in cui questi grassi sono naturalmente presenti, risulta in generale più elevata nei primi anni di vita.

Con cosa si può sostituire l’olio di palma?
D. – Il consumo di olio di palma utilizzato a scopo alimentare in Italia non ha subito grandi aumenti nell’ultimo decennio e ha conquistato spazio nell’industria alimentare andando a sostituire grassi di qualità inferiore e meno sicuri. Non ci sono motivi razionali per cui debba essere regolamentato il suo utilizzo sul piano della quantità, anche perché la sua sostituzione con altri grassi ugualmente qualitativi appare difficilmente sostenibile. Quella che deve essere oggetto di una appropriata regolamentazione è la modalità di produzione all’origine, per evitare possibili danni all’ambiente e avere la garanzia della massima qualità. È proprio per questo che è nata la certificazione Rspo (Roundtable on Sustainable Palm Oil, ndr), peraltro in continua evoluzione in senso sempre più restrittivo. Ed è per questo che l’Unione per l’olio di palma sostenibile si impegna a promuovere l’utilizzo di solo olio certificato.

M. – L’olio di palma non può essere sostituito ovunque con lo stesso prodotto. Per esempio, in una zuppa dove non serve la consistenza dell’olio di palma, si può usare olio d’oliva o di girasole alto oleico. Per altre preparazioni, dove è richiesto un grasso con una consistenza simile al burro, invece, può essere sostituito da una minima quantità di extravergine d’oliva misto a farine di legumi. Quindi a bassissimo costo e alti valori nutrizionali. Certo, la sostituzione non è automatica, ma si può lavorare per trovare delle alternative che diano le stesse performance, la stessa shelf life, possibilmente lo stesso costo, ma un contenuto di grassi saturi molto inferiore. I grassi non vanno eliminati dall’alimentazione, ma vanno ribilanciati nelle preparazioni e soprattutto vanno abbattuti quelli saturi.

Che differenza c’è tra olio vergine e olio raffinato?
D. – L’olio di palma vergine è destinato al consumo diretto e non viene purificato dopo l’estrazione. Si presenta di colore rosso per l’alta presenza di carotenoidi, ha un sapore piuttosto intenso e presenta una limitata stabilità all’ossidazione. Sono caratteristiche queste che non si accordano con le esigenze di produzione dell’industria alimentare che ha bisogno di grassi molto stabili, e che non abbiano caratteristiche di gusto e colore tali da influenzare quello degli altri ingredienti. L’olio destinato all’industria viene perciò sottoposto a raffinazione dopo averlo estratto, attraverso una serie di operazioni fisiche che lo purificano togliendo le sostanze indesiderate. In questa operazione si perdono in parte i carotenoidi antiossidanti, ma si guadagna sul piano della stabilità, garantendo così la possibilità di ottenere prodotti che mantengono a lungo le loro caratteristiche di qualità.

M. – Purtroppo negli studi a supporto della bontà dell’olio di palma si prende in considerazione quasi sempre l’olio vergine, ricco di vitamina E e carotenoidi. Mentre l’industria usa olio raffinato, quindi sottoposto a vari processi che lo privano di buona parte dei plus che possiede. La valutazione nutrizionale su un alimento deve essere fatta da un lato sui nutrienti e dall’altro sulle sostanze tossiche o cancerogene che contiene. Di questi ultimi, ovviamente, l’ideale è che gli alimenti non ne contengano. Ma pure essendone privo, non è detto che un alimento faccia bene, se per esempio è ricco di sale o grassi saturi o zucchero. Non è valida l’equazione che se un alimento non contiene sostanze cancerogene automaticamente fa bene, vedi il caso delle bibite zuccherate gasate. Per tornare all’olio di palma, sappiamo che il suo contenuto di grassi saturi lo rende potenzialmente dannoso per le arterie, il cuore, le malattie metaboliche, il diabete ecc. Quindi, anche quello vergine se consumato oltre i limiti fa male. In quello raffinato, poi, il recente studio dell’Efsa ha evidenziato la presenza di contaminanti in misura maggiore ad altri oli. E soprattutto nei bambini, queste sostanze superano la soglia di rischio.

L’olio di palma è contenuto anche in molti prodotti destinati all’infanzia: è pericoloso e quali sono i limiti consigliati per i bambini?
D.- L’olio di palma si caratterizza per il suo contenuto di acido palmitico, un grasso che è naturalmente presente in elevata quantità anche nel latte materno. È proprio per rendere i latti più simili a quello naturale della mamma che l’industria utilizza l’olio di palma nella produzione dei latti artificiali. Per gli altri prodotti è apprezzato e quindi utilizzato per le caratteristiche di neutralità e stabilità che possiede, oltre che per la sua versatilità. Come ribadito anche dall’Istituto superiore di sanità, l’olio di palma in sé non contiene nulla di pericoloso e le attenzioni nel suo consumo vanno riferite alla quota complessiva di grassi saturi che dovrebbe essere presente nella dieta. I dati riportati nel parere emesso a febbraio dallo stesso istituto superiore di sanità indicano che per i bambini da 3 a 10 anni su un totale di 28 g di grassi saturi consumati ogni giorno quelli provenienti da olio di palma sono stimati al massimo in circa 7,5 g. Come si vede anche in questo caso l’olio di palma contribuisce per una quota limitata all’assunzione di grassi saturi, e il consumo normale di alimenti che lo contengono non desta preoccupazione.

M. – L’Istituto Superiore di Sanità e l’Efsa hanno evidenziato che le sostanze cancerogene dell’olio di palma raffinato superano la soglia di rischio soprattutto nei bambini. Un neonato che si nutra con latte in polvere con olio di palma supera la soglia. Mentre questo rischio è molto ridotto nella popolazione adulta. La ragione sta nel peso corporeo: in un neonato di pochi chili basta una dose molto più bassa di sostanze dannose per raggiungere e superare la soglia rispetto a un uomo adulto.

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