Food24

Pasta Mancini: dall'archeologia del grano nascono gli spaghetti Turanici

  • Abbonati
  • Accedi
Storie di eccellenza

Pasta Mancini: dall'archeologia del grano nascono gli spaghetti Turanici

Un grano antico e “dimenticato”, due agronomi che lo recuperano, un’azienda agricola che ci crede, lo coltiva nei suoi terreni, lo lavora in modo speciale e ne realizza una pasta a tiratura limitata. Sono questi gli ingredienti degli spaghetti Turanici, l’ultima scommessa dell’azienda agricola Mancini. Il nome deriva da una sottospecie di grano duro (il Triticum turgidum subspecie turanicum) dalla spiga grande e dal chicco grosso e allungato, un tempo presente in Italia ma poi quasi scomparsa. Riscoperta grazie agli ‘”archeologi dei cereali” Massimo Fiorando ed Oriana Porfiri, che ne hanno strutturato una vera e propria filiera produttiva, dal seme fino alla prima trasformazione, questo grano è tornato sui colli del fermano, dove Mancini lo coltiva  in modo biologico, lo macina a pietra e lo lavora su particolari trafile di bronzo a forma circolare, realizzate espressamente per questa produzione. Anche la tecnica è stata adattata alle caratteristiche di questo grano, che contiene poco glutine e a bassa tenacia, e quindi particolarmente digeribile. Dopo 46 ore di essiccazione a bassa temperatura (circa 40°C), si ottengono degli spaghetti scuri, carnosi, dal profumo intenso e dal gusto delicato. Un prodotto di alta gamma, partito come una scommessa con una produzione limitata (100 quintali) ma che è già destinato a triplicare i volumi nel giro di un anno, arrivando a quota 300 quintali nel 2015.

Coltivazioni biologiche e nuovi prototipi per i macchinari

Sono i grandi chef a chiedere i Turanici, quelli che già utilizzano gli altri 10 formati di pasta dell’azienda, realizzati con il grano duro delle varietà Levante e San Carlo. Nomi del calibro di Enrico Crippa e Santini in Italia e di Umberto Bombana a Hong Kong. Clienti che Mancini ha conquistato nel giro di pochi anni, da quando ha deciso di puntare sulla produzione di pasta di qualità e di conquistare i mercati esteri attraverso l’alta ristorazione.

La data-chiave è il 2008, quando l’azienda agricola Mancini (nata 70 anni prima) investe 1,5 milioni di euro per costruire uno stabilimento dove trasformare in pasta il grano duro di famiglia, coltivato su 200 ettari (di cui 60 di proprietà) tutti situati nel raggio di un paio di chilometri. L’artefice della svolta è Massimo Mancini, 43 anni, nipote del fondatore Mariano, laurea in Scienze agrarie in Italia e master di marketing negli Stati Uniti. Dopo due anni di test sui macchinari (tutti prototipi) e di selezione delle varietà di grano duro, tutte coltivate in regime di lotta integrata, nel 2010 lo stabilimento in legno, acciaio e cemento costruito in mezzo ai campi di grano entra in funzione. E Mancini comincia a fare il “commesso viaggiatore” per andare a proporre la sua pasta agli chef stellati e alle boutique gourmet di mezzo mondo. Il business decolla: il fatturato passa in tre anni da 400.000 a 1,1 milioni di euro. E l’obiettivo è di arrivare a 2 milioni di euro nel 2016, grazie anche all’aumento della produzione. Di spazio ce n’é: fiducioso della sua scelta, Mancini ha progettato un pastificio che può arrivare a raddoppiare i volumi di produzione attuali.

© Riproduzione riservata