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Patata-gate: tutta la storia, dal sequestro alla difesa di Romagnoli ("se fosse vero saremmo autolesionisti")

Il consorzio di tutela della patata di Bologna Dop è pronto all’azione legale. Le due principali associazioni dei produttori emiliano-romagnoli, Assopa e Appe, parlano di “operazioni speculative” e di “un’informazione mediatica non sempre corretta” che rischiano di vanificare il lavoro di anni per costruire una filiera di qualità. Confagricoltura esorta la magistratura a fare chiarezza in fretta, perché la vicenda delle patate importate dalla Francia e spacciate per italiane danneggia, prima ancora dei consumatori, gli agricoltori seri impegnati nella produzione di vero made in Italy. E l’azienda Romagnoli, la prima finita sul tavolo degli imputati, mostra carte e numeri che testimoniano 86 anni di storia all’insegna dell’italianità e di investimenti sui prodotti locali che sarebbe un nonsenso distruggere per pochi centesimi di euro in più di margini, che tra l’altro – sostengono – non ci sarebbero neppure.

Gli antefatti

È presto per quantificare i danni causati dalla vicenda montata in questi ultimi giorni sull’import di patate francesi spacciate per italiane, un’ipotetica truffa partita cinque mesi fa con il sequestro (c’è stato però anche il dissequestro, lo scorso febbraio) da parte della Forestale di un camion di patate arrivato dalla ditta Comyn di Picardie destinato alla Romagnoli Fratelli Spa di Bologna (il leader italiano nella commercializzazione di patate) con a bordo una bolla di accompagnamento che parlava di tuberi coltivati in Italia e non in Francia. “Un semplice errore amministrativo”, si è subito difeso Giulio Romagnoli, il titolare dell’azienda di Molinella, alle porte di Bologna. Alla procura il compito di stabilire la verità, ma da Bologna l’inchiesta si è allargata a un presunto giro europeo di patate in partenza dalla Francia (principale produttore europeo del tubero) con bolle d’accompagnamento francesi trasformate in italiane grazie al filtro intermedio di alcune società commerciali, come la padovana Agriveneto (controllata dalla Dorata, azienda a sua volta partecipata al 20% dalla Romagnoli) o la napoletana Covone. Così le patate made in France, dove le maglie dei trattamenti fitosanitari sono molto più larghe che da noi e i costi di alcune varietà più bassi grazie alle grandi economie di scala, sarebbero diventare italiane al 100%. Le indagini sono partite, la necessità di controlli più accurati lungo le filiere del made in Italy non è novità di oggi e non vale solo per le patate. Quello che è certo è che a rimetterci, per ora, sono le produzioni di qualità nostrane che davvero nulla c’entrano con il presunto scandalo.

La denominazione d’origine

A pagare il prezzo più salato del “patagate” – come è già stato rinominato – è infatti il giovane consorzio di tutela della patata di Bologna Dop, “che non ha alcun legame con le vicende denunciate”, sottolinea il presidente Alberto Zambon, annunciando azioni legali contro i media. La Dop è riconosciuta solo per la varietà primura, che non esiste all’estero e in Italia viene coltivata al 95% in Emilia-Romagna e al 5% in Veneto. Una nicchia di eccellenza che non raggiunge i 90mila quintali certificati e i 350 ettari coltivati (su 3.500 ettari a patata lungo la via Emilia, di cui 2,300 a Bologna). “È solo tre anni che siamo presenti sul mercato con questa Dop – prosegue Zambon, che guida una ventina di aziende associate – un percorso faticoso all’insegna della qualità con un differenziale di prezzo di 20-25 centesimi al consumo che copre giusto i costi della certificazione. Questo scandalo rischia di danneggiarci pesantemente”. “Lasciamo fare alla magistratura il proprio lavoro, ma evitiamo spettacolarizzazioni. Quella della patata emiliana è una filiera ben integrata, dai campi alla distribuzione, i danni di questa inchiesta si ripercuoteranno su ogni anello della catena”, ribadisce Gianni Tosi, presidente di Confagricoltura Bologna.

I numeri della Romagnoli

A sua volta il re della Fortitudo e della distribuzione italiana di patate, Giulio Romagnoli, non scaglia pietre ma porta documenti e numeri per dimostrare che fosse davvero un truffatore sarebbe ancor più un autolesionista, “perché qualsiasi operazione che danneggia la filiera italiana della patata danneggia noi per primi. La Romagnoli Fratelli Spa – spiega – prima ancora di essere leader nelle patate da consumo è leader nella ricerca varietale e della distribuzione dei tuberi da seme: metà del nostro business complessivo, 33,5 milioni l’anno scorso, deriva dalle patate da semina, non certo destinate ai mercati esteri: il nostro export 2013 è di appena 900mila euro”. Come si spiegano, poi – chiede Romagnoli – i 12 milioni di investimento che abbiamo appena completato per un nuovo stabilimento di 12mila metri quadrati, a Molinella, per trattare, confezionare e stoccare le patate? I tuberi francesi, a differenza di quelli italiani, sono disponibili tutto l’anno e non richiedono strutture per la conservazione. La Romagnoli Spa ha immesso lo scorso anno sul mercato 24mila tonnellate di patate italiane, di cui 16mila coltivate in Emilia-Romagna, per un valore redistribuito agli agricoltori locali di 7,5 milioni di euro. La fase di approvvigionamento, tra luglio e dicembre scorso, ha visto entrare ufficialmente nei magazzini di Molinella 15.400 tonnellate di patate italiane (94,7%), 771 tonnellate arrivate dalla Francia, il 4,7% dei volumi,  e 96 tonnellate da Germania e Inghilterra (0,6%). “Noi non operiamo a valle della filiera agricola italiana – sottolinea Romagnoli – siamo gli organizzatori di questa filiera, dove abbiamo accordi con un’ottantina di aziende, attraverso le due Op, per oltre 370 ettari di campi coltivati e siamo il loro ponte verso la distribuzione organizzata. Siamo stati i promotori dell’accordo quadro regionale per tutelare la pataticoltura e paladini di diverse battaglie in nome del made in”.

Il mercato domestico

Il dubbio instillato dai media era che in Italia si consumano più patate di quante se ne producano e che quindi da qualche parte i tuberi devono essere importati (e la Francia è il primo produttore europeo), ma nei supermercati patate etichettate francesi non se ne trovano. I dati Ismea e Gfk-Eurisko parlano di una produzione domestica di 15,4 milioni di quintali di patate, 5,4 milioni di importazioni, 1,4 milioni di export. Si arriva così ai 20,7 milioni di quintali di patate disponibili al consumo nel nostro Paese e al “mistero” di una patata su quattro che dovrebbe risultare importata ma non compare sugli scaffali della Gdo. Di questi 21 milioni di quintali, però, un 10% sono sfridi e perdite, 1,8 milioni sono assorbiti dall’industria della trasformazione, mentre al consumo fresco vanno 15,7 milioni, di cui 6,3 per l’Horeca e 9,4 milioni al retail (tutti dati Ismea-Gfk). “È così spiegato il presunto mistero del perché nelle grandi catene distributive che noi serviamo (e che sono sempre più esigenti e attente nel vendere prodotti locali di qualità) si trovano quasi solo patate italiane. La produzione locale finisce al consumo fresco. Le patate straniere – spiega Romagnoli – vengono assorbite da Horeca e industria della trasformazione”.

Le altre prove

La ditta Romagnoli fa anche notare che le partite di patate, varietà agata, fermate dalla Forestale nel loro viaggio dalla Francia cinque mesi fa che hanno dato la stura all’inchiesta “costavano di più di quelle italiane e non avrebbe quindi avuto senso rivenderle come coltivate da noi per farci lucro”. E costano di più anche le patate francesi rispetto a quelle italiane interscambiate con l’azienda padovana partecipata Dorata – accusata delle operazioni di “trasformazione” delle bolle di accompagnamento francesi – per volumi comunque irrisori sui volumi totali del gruppo Romagnoli. Il presidente porta altri numeri per confutare pure l’accusa di magazzini regionali pieni di patate invendute perché si preferisce la merce straniera low cost: “Nei frigoriferi del sistema interprofessionale dell’Emilia-Romagna, al 30 marzo scorso, erano stoccati non 50mila quintali di invenduto, come sosteneva il programma tv Report, bensì 177.774 quintali. Alla stessa data, tra il 2007 e il 2012, risulta un dato medio di stock annuale di 177.154 quintali”. Nessuno scandalo: è il ciclo di approvvigionamento e vendita di un frutto stagionale seminato in aprile, raccolto in estate e venduto fino all’estate successiva.

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