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Pereira: a Noma ho imparato il lavoro di gruppo ora ridisegno la cucina…

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Storie di eccellenza

Pereira: a Noma ho imparato il lavoro di gruppo ora ridisegno la cucina portoghese

Sotto i riflettori di Epicurea 2016, la bellissima rassegna ospitata al Bulgari Hotel di Milano, è finito il portoghese Leonardo Pereira: inutile nascondere che solo i gourmet internazionali conoscono questo talento, in virtù della sua esperienza al Noma dove ha chiuso l’avventura nel ruolo di sous-chef e responsabile dei prodotti: ruolo straordinariamente importante per patron René Redzepi. Pereira è giramondo, del resto non poteva certo fermarsi in una fattoria di Santa Maria de Feira, nel nord del Paese, dove da un lato ha imparato il valore di frutta, verdura e carne da cortile (curate dai genitori) ma dall’altro gli era impossibile coltivare il sogno di essere chef. Quindi dopo il diploma all’alberghiero locale, eccolo vagare tra Irlanda, Svezia e Spagna sino all’approdo di Copenhagen: cinque anni che ovviamente gli hanno dato il passaggio decisivo.

Pereira, abbiamo letto che in sostanza al Noma era uno dei vertici ma cucinava poco. E’ vero?

Sì, sono stato relativamente poco ai fornelli. In compenso, ho passato gran parte delle giornate a raccogliere prodotti sul “terreno” o parlando con i fornitori. Si impara tantissimo, lo sapeva?

Sicuramente. Ci dica un aspetto del Noma sfuggito alla maggior parte degli osservatori.

La mentalità del gruppo, formato da persone di tutto il mondo  e con le storie più diverse. Al Noma c’erano tre cuochi bravi ma tutti, e sottolineo tutti, portavano il loro mattone per il risultato finale: René nasce leader e sa far rendere al meglio chi lavora con lui. E poi è sempre avanti: l’idea della factory urbana la coltivava da tre anni e ora sta già pensando ad altro.

Cosa si è portato a casa dall’esperienza Noma?

Tanto, umanamente e professionalmente. Ma non da condizionare la mia cucina per fare un piccolo Noma in Portogallo. Non amo il passato, mi piace il presente e penso al futuro. Quindi, già nella prima esperienza seguita al mio ritorno (ndr, l’ecoresort Areias do Seixo) ho fatto la mia cucina, naturale ovviamente ma senza preclusioni. Per esempio, io adoro la carne.

Per chi non la conosce: come è la cucina portoghese?

Robusta, ha il compito di nutrire senza ricercatezze particolari o l’eleganza di quella italiana. Per questo, voglio rivederla in chiave contemporanea, cucinando quanto mangerei io. Senza paura o la fissa del km zero: in Portogallo abbiamo un numero limitato di prodotti per soddisfare i gourmet e quindi bisogna avere la mente aperta, fermo restando che è bello usare quelli di casa.

Citiamo qualche piatto gustato nella serata di Epicurea: Fave con erbette marine, Ricci di mare con mandorle amare, Limone grigliato e grano saraceno. Li considera signature-dish?

Sono idee del momento, direi. Ora il piatto che mi piace maggiormente, un dessert, è quello con latte di riso tostato, violetta e clementine: il fiore è vero, edibile e mi ricorda quando lo mangiavo nella fattoria di mio padre. Sono partito da qui e ho cercato due elementi da abbinare perfettamente.

Parliamo del nuovo locale?

Per ora non ha un nome…Sentivo l’esigenza di lasciare l’hotel e aprire qualcosa di mio a Lisbona. Avrà una settantina di coperti, con un menu creativo e completo dove scegliere quattro-cinque piatti al massimo per spendere 55-60 euro che in Portogallo non sono pochi. Di certo, non penso a menu degustazione da venti piatti, per stare a tavola tre ore: mi piacevano da giovane cuoco, ora per me non hanno senso. Come non ho pensato alla classica bomboniera per gourmet.

Lei non passa per un fissato della cucina naturale, nonostante il passaggio al Noma.

Esatto. Non credo nella cucina “sostenibile” per pochissime persone in grado di pagare tanto ma in una cucina bilanciata per il pubblico normale. A me non interessa l’etica, al di là del rispetto delle regole basilari, ma il risultato che arrivi al maggior numero di appassionati. Un modello per me è Jamie Oliver che si è battuto concretamente per migliorare il livello della cucina inglese, sia per i ragazzini delle scuole sia per chi si siede nei suoi locali: buoni cibi, piatti corretti, prezzi civili.

Parliamo un po’ d’Italia?

Conosco bene la vostra cucina, mi piace soprattutto per la presenza di sapori amari. Siete molto rispettosi della tradizione ma è ovvio perché avete una storia ricchissima, un mare di prodotti e la buona abitudine di cucinare in famiglia. All’estero è più facile creare da zero, senza richiami. Ho un grande ricordo delle due settimane passate a Piazza Duomo, con un maestro come Enrico Crippa. E ho un debole per un radicale come Paolo Lopriore che non si ferma mai.

Il Portogallo diventerà meta gourmet?

Me lo auguro, guardo con invidia a Paesi come Messico e Australia che stanno diventando potenze culinarie. E consiglio anche un salto a Singapore, in crescita pazzesca. Il mio obiettivo è trovare altri cinque cuochi, giovani e volenterosi, per creare un vero movimento della nuova cucina senza invidia tra noi. Non pensando solo alle guide, fermo restando che essere sulla Michelin resta un veicolo importante di comunicazione, ma attirando i gourmet. Per primi, i portoghesi.

Dopo Thompson, Epicurea 2016 presenterà altri cinque grandi chef – selezionati dal bravo Andrea Petrini – a partire dal portoghese Leonardo Pereira sino a Luca Fantin (veneto, executive chef del ristorante all’interno del Bulgari Ginza Tower di Tokyo) passando per la statunitense Dominique Crenn, il francese Yannick Alleno, il danese Matt Orlando e l’australiano Jack Zonfrillo. Ci sarà da divertirsi, come sempre sotto l’occhio vigile del resident-chef Roberto Di Pinto.

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