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Pomì: svolta green e quota export al 60%

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Pomì: svolta green e quota export al 60%

Mentre in Italia agricoltori e trasformatori di pomodoro da industria si stanno facendo la guerra per fissare il prezzo della materia prima di salse e sughi per la stagione alle porte (con un gap di oltre 20 euro tra i coltivatori che chiedono i 92 euro del 2015 e gli industriali che ne offrono 70) e nel mondo si calcola quest’anno un calo di almeno il 6% della produzione, nell’isola felix tra Parma, Piacenza, Cremona e Mantova c’è chi non conosce crisi: è il Consorzio Casalasco del pomodoro che brinda a un 2015 in crescita del 12% per il marchio commerciale Pomì e a prospettive di crescita a due cifre anche quest’anno. A fronte di consumi di “oro rosso” in lenta flessione e di un business domestico per passate, polpe e sughi che ha perso lo scorso anno il 3% in valore.

Primo player del pomodoro industriale

«Alle nostre 370 aziende agricole associate in cooperativa che conferiscono la materia prima garantiamo remunerazioni superiori alla media di mercato del 5-10% e ai consumatori dei 50 Paesi in cui siamo presenti un prodotto 100% made in Italy con una filiera completamente tracciabile, etica e sostenibile, racchiusa in un distretto dove la distanza tra campi e fabbrica non supera i 50 chilometri». E’ semplice la ricetta di Costantino Vaia, dg del Consorzio Casalasco, eppure è un unicum nel panorama nazionale che ha permesso a una piccola cooperativa agricola nata nel 1977 a Rivarolo del Re (Cremona) di diventare il primo player in Italia del pomodoro industriale (con il 12% del mercato), il terzo in Europa e il 15° al mondo: 7mila ettari di superficie coltivata, una produzione annua di pomodoro di 550mila tonnellate, 1.000 dipendenti (1.300 con gli stagionali), 50 linee di confezionamento nei tre stabilimenti tra la sede storica lombarda, Fontanellato (Parma) e Podenzano (Piacenza) e 260 milioni di fatturato complessivo, tra il marchio Pomì (40 milioni) e le private label, e una quota export salita al 60 per cento.

Italian sounding in California

Il processo di crescita legato al territorio non ammette delocalizzazioni produttive ma solo ampliamento della base cooperativa (l’ultima acquisizione della Agricoltori riuniti piacentini risale all’estate scorsa) e internazionalizzazione commerciale per valorizzare il prodotto di qualità “made in Italy” tracciato e certificato. «Vediamo ampi margini di sviluppo, soprattutto per il marchio Pomì, tra Nord e Centro America, ma anche Medio ed Estremo Oriente. Canada e Giappone sono i prossimi mercati su cui entreremo», anticipa Vaia, reduce dal congresso mondiale del pomodoro in rappresentanza dell’Italia, secondo produttore mondiale (5,1 milioni di tonnellate) dietro, e molto distanziato dalla California (11,3 milioni di tonnellate). «Proprio in California, che sta perdendo oltre il 13% dei volumi, Pomì sta però crescendo invece del 12% ed è oggi il primo marchio italiano e il settimo in assoluto. E il brand leader che si chiama “Tuttorosso”guarda caso, pur essendo americano sfrutta l’italian sounding», sottolinea Vaia per rimarcare l’enorme valore del made in Italy che oggi sfruttano concorrenti stranieri al nostro posto.

La scommessa green

Una ventina i milioni di investimenti in programma anche quest’anno tra tecnologie produttive, R&S e marketing. «La scommessa è sul biologico – conclude il dg – con la riconversione dei campi e una linea di trasformazione dedicata a passate e polpe bio, segmento che sta crescendo del 26% per i prodotti a scaffale. Partiamo quest’anno con l’obiettivo di 8mila tonnellate di pomodoro fresco bio». Mentre per le linee tradizionali sul mercato domestico il Consorzio sta puntando, come tutta l’industria di trasformazione, sui sughi pronti, che crescono di un 5% a valore e a volume, a fronte invece di un calo di analoga entità dei consumi di polpe e passate.

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