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Proibizionismo che passione: così il cocktail rilancia i liquori…

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Proibizionismo che passione: così il cocktail rilancia i liquori vintage

La mecca per chi vive di speakeasy– scontato ma non è colpa nostra – resta Londra. E c’è un locale su tutti: si chiama The Nightjar, 129 City Road, nel quartiere di Shoreditch: aperto nel 2010, in un solo anno è entrato nella top ten dei bar del Regno Unito e ha raggiunto il 18° posto nella Drinks International World’s 50 Best Bars.

Il bloody Mary

Il boom degli speakeasy

Speakeasy (letteralmente “parla piano, tranquillo” e sull’origine del neologismo non si hanno certezze) è il termine che indicava gli esercizi in cui negli anni del Proibizionismo (1920-1933) si vendevano illegalmente le bevande alcoliche, whisky su tutti. Posti brutti se non sordidi per la massa, molto suggestivi e invasi dalla musica jazz per i ricchi. La mente torna alla splendida serie televisiva Boardwalk Empire – ambientata ad Atlantic City e prodotta da Martin Scorsese – che ha contribuito non poco al ritorno in auge di quei cocktail anche da noi, nella versione originale.

L’Aviation

Nei Paesi anglosassoni, la passione per gli speakeasy non è mai scesa ma non c’è dubbio che la voglia di riscoprire l’epoca d’oro per i cocktail sia aumentata. Epoca d’oro perché da un lato si dovevano rendere più bevibili i grezzi distillati di contrabbando – ed ecco che nascono nuovi cocktail a base di whisky come il Blood and Sand o vengono perfezionati quelli storici come il Sazerac – e dall’altro trovano più spazio alcolici quali Gin, Cognac, Cointreau, Vodka, Rum che fanno nascere geniali preparazioni come il Gimlet, il Bloody Mary o lo Zombie.

Il Nightjar a Londra

Ambienti crepuscolari

Il Nightjar – che vede dietro il bancone due maestri – quali Marian Beke e il nostro Luca Cinalli – interpreta in modo magistrale questa filosofia. Nel nome (in inglese significa “caprimulgo” ossia l’uccello che vive di notte e si fa vedere pochissimo), nell’ambiente davvero crepuscolare e nel menu diviso in quattro sezioni: pre-Proibizionismo, Proibizionismo (pezzo forte), Dopoguerra e i signature cocktail. Non è un caso che nella classifica citata in precedenza, si trovi al secondo posto superato solo da un altro mito londinese: l’Artesian, il bar di The Langham Hotel che però punta su ricette meno storicizzate.

In Italia, la moda è arrivata sull’onda della serie trasmessa da Sky Cinema, entrando soprattutto nei bar interni ai migliori hotel delle città da sempre specializzati in cocktail, con Roma e Milano in prima fila. Ci sono poi locali realmente speakeasy. Il più famoso è il Jerry Thomas Project (vicolo Cellini 30, Roma) che in soli tre anni è arrivato al 19° posto della World’s 50 Best Bars: bisogna prenotare obblgatoriamente e si va alla ricerca della “parola d’ordine” senza la quale non si può entrare. Uno sforzo meritevole per la grande qualità dei cocktail, a partire dall’Improved Aviation sino all’Old Fashioned, spesso realizzati con prodotti italiani come maraschino, vermouth, barolo chinato, bitter aromatizzati della casa. Curiosità: il locale è intitolato a Jerry Thomas, l’uomo che nel 1862 scrisse il primo libro sull’arte di miscelare i cocktail, ponendo le basi per la mixology.

Gli indirizzi milanesi

A Milano, solo i più affezionati clienti del Mag (Ripa di Porta Ticinese, 43) possono accedere al 1930: 80 mq in una via sconosciuta ai più e al quale si accede entrando in un piccolo negozio di alimentari dove pronunciando la parola d’ordine ci si ritrova di colpo catapultati negli anni ’20. Una trentina di clienti al massimo. Il concetto richiama quello di uno dei più famosi speakeasy della Grande Mela: il Please don’t tell all’East Village che prevede obbligatoriamente un passaggio al Crif Dog’s in St. Market Place, sorta di paninoteca con cabina telefonica, Basta la parola giusta detta alla cornetta e l’entrata è assicurata.

Il Sazerac

Per chi non ama complicazioni, come dicevamo, il modo più semplice per sentirsi Nucky Thompson – il protagonista di Boardwalk Empire – è sedersi in un raffinato bar come il Bamboo Bar dell’Armani Hotel, in via Manzoni a Milano, dove si possono gustare tanti cocktail, non di rado ispirati all’epoca d’oro. Al bancone c’è Mattia Pastori, 30 anni, pavese che ha abbandonato il bar di famiglia per imparare l’arte tra States e Regno Unito. Poi il ritorno a casa, prima al Park Hyatt milanese e da lì allo spettacolare Bamboo Bar. Lo scorso anno è stato finalista alla Diageo Reserve World Class, sorta di Mondiale dei bartender istituito dal gruppo leader nei superalcolici premium. Era arrivato alla competizione, imponendosi su oltre 300 colleghi italiani. Un maestro della mixology che ama particolarmente il periodo proibizionista.

Mattia Pastori

A caccia di bicchieri vintage

“E’ piacevole ripescare vecchi cocktail, studiarli in ogni particolare e magari presentali in una nuova veste – dice – perché se da un lato sono ancora apprezzati nella ricetta originale, trovo ancora più interessante servirli utilizzando qualche ingrediente nuovo e le tecniche moderne”. Per dare un senso compiuto all’operazione, è necessario anche trovare utensili e bicchieri adatti. “Ho saccheggiato, e continuo a farlo, le case di nonne e zie, i negozi di Brera, i mercatini d’antiquariato – spiega ridendo Pastori – perché voglio che tutto sia orginale e non replicato. Il pubblico giustamente apprezza la cosa, e in definitiva diventa un plus di un locale” Consigli per chi vuole riprodurli in casa? “Un misurino perfetto e del buon ghiaccio che conviene acquistare al supermercato, nelle confezioni già pronte. Per il resto, sono ricette che di solito contemplano pochi ingredienti e richiedono solo attenzione”.

La versione del Blood and Sand per Food24

Ai lettori di Food24 Mattia regala la versione rivisitata del mitico Blood and Sand, creato nel 1922 per omaggiare Rodolfo Valentino, torero nell’omonimo film. L’ha chiamato Blood and Stone e vedremo perché. A lui la parola. “Ci vogliono 4 cl di Johnnie Walzer Gold Label Reserve, 2 cl di Cherry Heering, 2 cl di spremuta d’arancia sanguinella e una pietra aromatizzata al Carpano antica formula. Si tratta di ciottoli (ndr, ecco spiegato lo stone) ovviamente lavati e sterilizzati che vengono immersi nel vermouth per dodici ore: quando vengono immessi nel cocktail, rilasciano alcool e donano un po’ di sapore salino, congiunto ai minerali. Oltre a un effetto estetico splendido, visto che si può scegliere il colore dello stesso. Questo cocktail si prepara con la classica tecnica di miscelazione Throwing e poi viene servito in coppa”. A pensarci bene, è meglio andare in via Manzoni, numero 31, settimo piano dell’Armani Hotel…

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